Il Programma nazionale di riforma

La verità sugli investimenti pubblici

Carlo Stagnaro

Il calo degli investimenti pubblici osservato nel 2016 è un'illusione ottica. Ecco perché

Perché gli investimenti pubblici sono scesi nel 2016, dopo un biennio di crescita (pur moderata)? I dati rivelati qualche settimana fa dall’Istat avevano sollevato, come sempre in Italia, il consueto turbine di polemiche (qui, quo, qua). A poco era servito far notare che i dati, per poter essere commentati, vanno anzitutto capiti (cip e ciop). Fortunatamente il tempo è galantuomo e il chiarimento, speriamo definitivo, arriva dall’autorevole voce della Commissione europea.

Si legge nelle raccomandazioni inviate ieri al nostro Paese:  

I dati relativi ai risultati del 2016 indicano una diminuzione degli investimenti pubblici nel 2016 rispetto al 2015 (per 1,6 miliardi di EUR). Tuttavia, il Consiglio riconosce che lo scorso anno taluni fattori specifici hanno limitato gli investimenti pubblici. Tra di essi l'incertezza associata all'introduzione del nuovo codice degli appalti e delle concessioni, che è stato rivisto in linea con le raccomandazioni per paese del 2016. Inoltre, fatto questo ancora più importante, nel 2016 si è avuto un netto calo degli investimenti finanziati dai fondi UE, in esito all'avvio del nuovo periodo di programmazione, mentre gli investimenti finanziati da risorse nazionali sono aumentati marginalmente (di 1,1 miliardi di EUR).

Per chiarire: gli investimenti pubblici non sono buoni a prescindere. Servono se finanziano opere o iniziative utili al Paese, come spiega qui Giampaolo Galli; altrimenti rappresentano uno sperpero di denaro dei contribuenti. Perché ciò accada, occorre adottare procedure che da un lato garantiscano uno scrupoloso esame dei costi e dei benefici delle singole proposte che si intendono finanziare, dall’altro prevengano fenomeni patologici (ma spesso osservati in Italia) quali la corruzione (che non di rado ha trovato proprio nelle grandi opere il suo brodo di coltura).

Ora, come riconosce la Commissione, la ragione del rallentamento della spesa italiana in conto capitale non dipende da un “taglio selvaggio”, ma dall’inevitabile “periodo di aggiustamento” seguito all’ingresso in vigore del nuovo Codice degli appalti. E’ fisiologico, infatti, che un cambiamento delle regole richieda del tempo per essere compreso, anzitutto dagli enti che poi materialmente dovranno assegnare gli appalti. Per la stessa ragione, l’avvio del nuovo periodo di programmazione dei fondi comunitari ha determinato un rallentamento nell’utilizzo delle risorse europee. Tant’è che Bruxelles ha riconosciuto all’Italia i margini di flessibilità consentiti dai Trattati.

Tanto rumore per nulla, insomma.