Nemmeno l'equilibrio di Nash spiega a che cosa è disposta una moglie per salvare la genialità

Paola Peduzzi

    Se Alicia Nash avesse seguìto ciò che quel genio di suo marito, John Nash, rivelò in ventisette pagine di tesi quando era ancora giovane e sano, probabilmente non si sarebbe trovata accanto a lui sul taxi in cui sono morti, entrambi ormai ottuagenari, sabato in New Jersey. Il famoso equilibrio di Nash, che il matematico-economista dalla “beautiful mind” ideò nel 1950, si fonda sul principio che tutti cercano il meglio per sé, ma cercano di fare i conti con il meglio del gruppo, massimizzandolo, o almeno non perdendo nulla. Alicia Nash ha fatto di tutto per salvare il marito, anche se era un uomo che non si poteva amare, non solo perché era schizofrenico e pensava che il New York Times pubblicasse codici per gli extraterrestri che solo lui sapeva interpretare, ma perché era insopportabile anche prima di diventarlo.

     

    John Nash cambiò la storia della teoria dei giochi, proiettandola dai princìpi allora studiati, che si fondavano sui giochi a somma zero, verso l’interazione degli individui in un mondo in cui non esiste soltanto il sé e non esiste soltanto un unico interlocutore che tutto decide. Fu una scoperta rivoluzionaria – passa sotto il nome di “equilibrio di Nash” – che garantì il premio Nobel a Nash, nel 1994, quando lo studioso riemerse dalla sua malattia mentale e fu riammesso nel mondo accademico. Quando ideò l’equilibrio, Alicia non era ancora arrivata nella vita di Nash, allora lui frequentava un’infermiera, la mise incinta e poi scappò il più lontano possibile: ci vollero un avvocato molto determinato e la pazienza dell’infermiera per far sì che il bambino e il padre avessero un rapporto, mai comunque felice. Di lì a poco sarebbe arrivata Alicia, che amava la matematica e nel 1955 era una delle sedici donne che studiavano al Mit. Veniva dal Salvador, Alicia, parlava l’inglese e il francese, girava il mondo, era bella ed elegante, suo padre se la immaginava come la nuova Marie Curie e decise di trasferirsi in America per darle accesso alle migliori università. Lì Alicia si imbattè in John Nash, che era alto e affascinante, un piccolo genio spocchioso, con un’identità sessuale incerta, baciava molti uomini, era già finito nei guai per essersi mostrato “in modo indecente” in un bagno. Nel 1957 si sposarono, l’anno successivo lei era incinta, ma John stava già mostrando i primi segni della sua malattia, lei decise di farlo curare in ospedale, contro la volontà di John che per due anni non fece altro che insultarla. Alicia lo difendeva davanti agli altri, e intanto cresceva il loro figlio maschio, che per un anno rimase senza nome, perché lei voleva aspettare che John dicesse la sua, ma lui non era in grado di concentrarsi su nulla (si sarebbe chiamato John, il figlio, e si sarebbe ammalato di schizofrenia, anche lui). Nel 1962, Alicia chiese il divorzio, diceva che John la riteneva responsabile del ricovero, dormiva in un’altra stanza e non la faceva avvicinare. Lei si era infatuata di un altro uomo, voleva uscire dal nero morte che John le lasciava intorno, il meglio per sé allora era rifarsi una vita.

     

    Nel 1970 Alicia decise di riprendersi John in casa, non come marito, nemmeno come amico, lo definiva “boarder”, un ospite d’albergo, facevano vite separate, ma lei lo teneva d’occhio. Lui era senza soldi e senza casa, e se l’unica cosa che aveva teorizzato nella vita sarebbe poi diventata una scoperta da Nobel allora era solo un uomo in scarpe da ginnastica che pensava di essere alternativamente uno shogun giapponese e Giobbe. Alicia salvò John, fuori da tutte le teorie immaginabili (persino dal marito geniale), da tutte le matrici sulle battaglie dei sessi in cui si applicava l’equilibrio di Nash: negli anni 80 lui guarì, smise di prendere i farmaci, disse che era stata la quiete che ti viene quando invecchi a farlo tornare in sé. Nel film “A beautiful mind”, Nash dedica il suo discorso alla premiazione del Nobel ad Alicia, ma nella realtà lui non lo fece, parlò molto dei soldi che gli mancavano e ironizzò sulle sue scoperte. Lei ormai non si aspettava più un riconoscimento, l’avrebbe risposato comunque, nel 2001, alla faccia degli equilibri, e di quel che sempre sfugge quando al genio e alla follia unisci l’amore.

    • Paola Peduzzi
    • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi