"Babylon Berlin", la serie tv Sky mette in scena il preludio (attuale?) del nazismo

Marianna Rizzini

Sedici episodi ispirati ai romanzi di Volker Kutscher che in questa prima stagione arrivano fino al 1933

Roma. L’ascensore per il patibolo parte dall’ultimo piano del commissariato e scende verso la piazza, per poi risalire con il suo carico di “ingranaggi rotti”. Siamo nella Berlino del 1929 e così vengono chiamati gli ex soldati che hanno combattuto da giovanissimi nella Grande Guerra ma non sono riusciti a superare il trauma – e anche se poi sono diventati commissari o agenti devono stare attenti a nascondere il sintomo indelebile di un tormento che viene da lontano: il tremito della mani, le convulsioni, l’attacco di panico che non ci si può permettere nella città ruggente percorsa già da tutte le tensioni che porteranno all’affermazione del nazionalsocialismo. Si chiama “Babylon Berlin”, la serie tv presentata alla Festa del cinema di Roma e in arrivo su Sky Atlantic Hd (dal 28 novembre, alle 21 e 15): una coproduzione internazionale da 40 milioni di euro tra Sky e Beta Film, con la regia dei tedeschi Tom Tykwer (che nel 1998 ha firmato il film cult “Lola corre”), Achim von Borries e Henk Handloegten.

 

Sedici episodi che si ispirano ai romanzi di Volker Kutscher ma che ricordano, per atmosfera e crescendo di tensione senza nome, “Il Giardino delle bestie” (ed. Guanda), storia vera romanzata scritta nel 2012 da Erik Larson. In questa prima serie di “Babylon Berlin” si arriva al 1933, ne “Il Giardino delle bestie” la scena si apre nel 1934, quando l’ambasciatore americano William E. Dodd e sua figlia Martha, arrivati da Chicago, si ritrovano in una Berlino già nazionalsocialista ma ancora immersa in una formale, straniante atmosfera di festa tra cene, teatri, fiori nel Tiergarten e discussioni sull’arte. Troppo lentamente William e Martha si accorgono che qualcosa non quadra, che i rapporti sociali che intrattengono con Goebbels e Goering rischiano di diventare armi micidiali in mano agli stessi. L’ambasciatore si rende conto che l’appeasement si è trasformato in impotenza e che l’aver voluto essere un “americano aperto di mente” a tutti i costi – uno che si culla nell’illusione di poter continuare a non prendere posizione – gli ha impedito di comprendere che la società berlinese “evoluta” stava scivolando nell’orrore. Ed è come se “Babylon Berlin” mettesse in scena il preludio della caduta nel baratro di quella città efferata e illusa del primo Dopoguerra, che entra negli anni del nazismo facendo finta di niente.

 

Ci sono spie, feste, avventurieri, jazzisti, trafficanti, locali dove tutto è permesso, palazzi dove nulla è perdonato, giovani in cerca di fortuna, ragazze in cerca di riscatto, trockisti fuoriusciti, leninisti sotto mentite spoglie, angeli azzurri metà uomo metà donna, assassini e delatori, piume e sangue, lustrini e fucili. Ci sono la musica, il sesso e una libertà soltanto notturna sotto la patina di repressione formale (la Buoncostume arriva ovunque ma fa i conti con il Reparto politico della polizia, che da un fotogramma di uno strano film porno-blasfemo porta alla campagna elettorale del sindaco di Colonia Konrad Adenauer). All’uscita della serie l’Economist ha scritto che, davanti a quella Berlino livida e spregiudicata, viene la “tentazione di trovare dei parallelismi con la Berlino di oggi… la retorica di alcuni leader dell’AfD ha risvegliato vecchie aspirazioni nazionaliste paragonabili a quelle diffuse verso la fine della Repubblica di Weimar”. Uno dei registi, Achim von Borries, in un’intervista a Die Zeit, ha parlato invece dell’eco di Weimar sotto forma di “fragilità” della democrazia occidentale: “Quando abbiamo iniziato a lavorare alla serie, assistevamo ancora alle conseguenze della crisi economica che, naturalmente, trova parallelismi storici nella Grande Depressione del 1929”. Ed è il 1929 quando la giovane Charlotte, coprotagonista di “Babylon Berlin”, esce dalla casa dove vive con troppi parenti sfiniti per andare a cercare lavoro come archivista a giornata al commissariato. Ancora non lo sa, ma da quel giorno non le sarà più possibile tornare indietro.

  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.