Loving Vincent

Loving Vincent e It, campioni di incassi

Mariarosa Mancuso

Mai abbiamo visto tanti adolescenti entusiasti in fila alle casse, per l'horror di Muschietti. Con Van Gogh basta mostrare di striscio un girasole e l’attenzione del pubblico si accende

Due film si segnalano per gli incassi nella settimana appena finita. Il primo – prevedibilmente, sulla scia dei mostruosi incassi mondiali – è “It” di Andrés Muschietti. Giovedì scorso, primo giorno di programmazione, ha incassato in Italia un milione e duecentomila euro: la migliore apertura di sempre per un film horror. Capita di andare al cinema nel pomeriggio del giovedì, quando cambia la programmazione, per recuperare film di cui è sfuggita l’anteprima. Mai abbiamo visto tanti adolescenti entusiasti – maschi e femmine – in fila alle casse. Di solito si contano cinque spettatori in sala, e viene la tristezza.

 

 

Il secondo – meno prevedibilmente – è “Loving Vincent” di Dorota Kobiela e Hugh Welchman. Uscito in 283 sale italiane, dal 16 al 18 ottobre, ha totalizzato 130.000 spettatori, incassando pure lui un milione e duecentomila euro (pari a metà degli incassi totali, annuncia il distributore, dei tre giorni infrasettimanali). Chi l’avesse perso e fosse interessato può segnarsi la data del 20 novembre, quando il film verrà riproposto nelle sale che lo vorranno (la lista sarà su nexodigital.it).

    

 

Van Gogh si conferma un gran richiamo, basta mostrare di striscio un girasole e l’attenzione del pubblico si accende. Quel dipinto è il meno sfruttato nel film, ma gli altri ci sono tutti. Ri-dipinti – e poi animati – da 125 pittori a olio, reclutati in tutto il mondo con un video da duecento milioni di visualizzazioni che illustrava il progetto: ci sarà pure Instagram, ma i pittori della domenica sempre si danno da fare (poi con Kickstarter sono arrivati 2 milioni di euro, il budget era di 5,5). Ri-dipinti, perché per esigenze di copione – c’era una storia da raccontare – ad alcuni hanno cambiato il giorno con la notte, il sole con la pioggia, i formati sono stati modificati per adattarsi allo schermo, sono stati aggiunti i dettagli e allargati gli scorci. I personaggi escono dai quadri e se ne vanno in giro.

 

Tutto nello stile di Van Gogh, garantiscono i registi. L’esatta rassicurazione culturale con cui vengono venduti i classici condensati che ogni tanto l’editoria propone: non è un riassunto, perché non si cambiano le parole dell’autore; si tolgono solo le parti inutili. E poi abbiamo lo scoop, tratto da una biografia uscita nel 2011: la ferita d’arma da fuoco non se l’è procurata da solo, il film mette sotto accusa un sedicenne di passaggio. Fa da pretesto per la trama una lettera che il figlio del postino deve consegnare a Theo, il fratello con cui Vincent ebbe una ricca corrispondenza, firmandosi appunto “Loving Vincent”. Un centinaio di quadri vengono sfacciatamente usati come tarocchi da interpretare. Per il risultato, non esiste altra parola che kitsch. Dopo dieci minuti, invochiamo dipinti che stiano fermi, con la prospettiva scelta dal pittore che per trovarla si è dannato.

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