Leonardo Di Caprio, Cameron Diaz e Harvey Weinstein. Foto LaPresse/PA

La moda dell'autunno nelle sale sono i film Weinstein-free

Mariarosa Mancuso

Al bando il marchio di Harvey e del fratello Bob, via dai cartelloni e anche dai premi Oscar. Così funziona la caccia alle streghe 

La stagione autunnale al cinema era appena cominciata e rischia di finire. Scatta la ricerca disperata di film Weinstein-free. Non devono avere il marchio dell’ormai famigerata ditta fondata da Harvey e dal fratello Bob (la seconda con il loro nome, la prima fu comprata dalla Disney e dopo qualche anno i due se ne andarono). Non devono avere nel cast attori legati a Harvey Weinstein, per esempio Matt Damon che gli deve il debutto con “Good Will Hunting”; e sembrava avesse fatto una telefonata per dissuadere la giornalista Sharon Waxman dall’investigare sulle molestie (poi si sono accordati sul fatto che non era successo niente).
Spariscono così dall’orizzonte “Downsizing” di Alexander Payne e “Suburbicon” di George Clooney (due film che avremmo voluto vedere presto nelle sale, dopo la Mostra di Venezia). Matt Damon è il protagonista dell’uno e dell’altro, e Mr Nespresso giura di non aver avuto il minimo sospetto (probabilmente non sa che su di lui aleggia da anni il sospetto di gaytudine, con matrimonio di copertura e tresca sul lago di Como: chieda in giro). Spariscono anche i film con attori accusati di violenza sulle consorti. Come Mel Gibson – che girando il patriottico “Hacksaw Ridge” era riuscito a far dimenticare i proclami antisemiti – e Johnny Depp. Scandalo chiama scandalo, un tour promozionale rischia di diventare una corsa a ostacoli. Via dai cartelloni, e anche dai premi Oscar – l’Academy vuole cancellarlo dall’elenco dei giurati, a votare un suo film si rischia di essere considerati complici, così funziona la caccia alle streghe – “Daddy’s Home 2” diretto dall’ex Mad Max e “Murder on the Orient Express”. La candida Judi Dench da sola non basta a scagionare.

  

Compila la lista Vulture (e intanto discute le possibili condanne per Weinstein, precisando che per la legge californiana una palpata di culo è già reato, meglio un processo a New York). Non si lascia scappare “Chappaquiddick” di John Curran, la storia dell’incidente che costò la vita all’addetta elettorale di Ted Kennedy Mary Jo Kopechne, annegata nell’auto (Joyce Carol Oates in “Acqua nera” racconta il fattaccio dal punto di vista della ragazza). Non la scampa neppure “The Current War” di Alfonso Gomez-Rejon, la guerra tra i pionieri dell’elettrico Edison e Westinghouse, pionieri: era il candidato all’Oscar per la Weinstein Company, accolto tiepidamente al Festival di Toronto, rischia uno schizzo di fango sugli attori Benedict Cumberbatch e Michael Shannon. Woody Allen con “Wonder Wheel” funge da solito sospetto (il grande accusatore di Weinstein si chiama Ronan Farrow, figlio di Mia). Louis C. K. – ha appena diretto il film “I Love You, Daddy” – è invece un compagno di sventure. Anche su di lui pende un’accusa di segaiolo esibizionista. Punta il dito una comica, mentre l’altra comica Tig Notaro lo accusa di plagio.

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