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Non usciremo mai più dal neorealismo

Mariarosa Mancuso

“A Ciambra” di Jonas Carpignano, candidato agli Oscar, prende gli attori direttamente dalla strada. Ben fatto, ma non sapremmo a chi consigliarlo al di fuori del festival

Tema: il film italiano da candidare agli Oscar. Svolgimento (si spera senza farsi altri nemici). Non usciremo mai più dal neorealismo, anche stavolta abbiamo perso l’occasione. A coltivarlo ci sono i soliti noti come Gianni Amelio (“La tenerezza”) e i giovani ancora ignoti – agli spettatori almeno, non vale lo stesso per gli addetti ai lavori – come Roberto De Paolis che quest’anno ha debuttato con “Cuori puri”. Più i registi dell’età di mezzo, come Sergio Castellitto, in “Fortunata” ancora una volta in coppia con la consorte sceneggiatrice Margaret Mazzantini. Il nostro personale Bad Sex Award dell’anno, grazie a Jasmine Trinca e a Stefano Accorsi, se per il cinema italiano esistesse un premio paragonabile a quello che gli inglesi danno alla peggiore scena di sesso scritto (l’anno scorso toccò a Erri De Luca).

 

“A Ciambra” di Jonas Carpignano – designato da una schiera di eletti giurati come candidato italiano all’Oscar – è neorealista al punto da prendere gli attori dalla strada. Anzi da una famiglia rom che vive nei pressi di Gioia Tauro (il regista, mezzo americano e mezzo italiano, li ha conosciuti quando gli hanno rubato l’auto a scopo di riscatto). Oltre agli zingari ci sono i migranti con container pieni di merce rubata. Protagonista: uno scugnizzo tredicenne che ruba le valigie, si offende se qualcuno gli mette sotto gli occhi un pezzo di carta da leggere – fosse pure l’appuntamento per riscattare dell’auto rubata. E’ girato da un regista che il mestiere lo sa fare, e che è riuscito ad avere Martin Scorsese come produttore. Ma è pur sempre un film che non sapremmo a chi consigliare, fuori dai festival.

  

 

Una via d’uscita c’era, per non restare impigliati nel neorealismo che fu. E che, in omaggio al suo nome e alla sua ragione sociale, dovrebbe ogni tanto guardarsi in giro per constatare che i pensionati oggi sono diversi da “Umberto D.” (come suggerivano Ficarra & Picone nel loro film “Andiamo a quel paese”). Bastava candidare “Gatta cenerentola” di Alessandro Rak & Co. Bellissimo film d’animazione – sì, di animazione, ancora pensate che equivalga alla serie B? – che acchiappa la favola seicentesca di Giambattista Basile e la rigira con magnifiche musiche, e un’eroina che se l’avessimo vista in un film giapponese ci avrebbe fatto innamorare all’istante.

 

Tasso di neorealismo: meno di zero. In “Gatta cenerentola” ci sono gli ologrammi, e cantando il cattivo rende noto al mondo che Napoli non vuole essere salvata, né si vuole modernizzare. Sta benissimo con i suoi mucchi di spazzatura, e la droga smerciata sotto forma di scarpetta con il tacco. Mandare un film d’animazione nella tana della Pixar? Perché no? La qualità è altissima, e gli americani sanno riconoscere il lavoro ben fatto. Non solo la buona parola spesa da Martin Scorsese per “A Ciambra”.

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