Che cosa vedremo alla prossima Mostra del Cinema di Venezia

Mariarosa Mancuso

Inizia il festival Venezia 74, dal 30 agosto al 9 settembre. Speriamo che la selezione sia meglio della conferenza stampa dell’altro ieri

L’anno era cominciato alla grande con “La la land” di Damien Chazelle (la prossima volta che esce una meraviglia così impareremo a smorzare i gridolini di entusiasmo, onde evitare la fila di chi protesta “mi aspettavo qualcosa di più”). Non è proseguito alle stesse fantastiche altezze, e il Festival di Cannes si è fatto notare più per le polemiche contro lo strapotere della multinazionale Netflix (solo a dirlo viene lo sbadiglio) che per una selezione strepitosa. Da allora sono usciti solo film così così – i magnifici come “Victoria” di Sebastien Schipper, impolverato perché stava nei magazzini da un paio d’anni, li hanno nascosti nei cinemini parrocchiali.

Potrà la Mostra di Venezia, dal 30 agosto al 9 settembre, invertire la tendenza? Speriamo, per non morire di pizzichi, che la selezione sia meglio della conferenza stampa dell’altro ieri. Ogni titolo, compresi i cortometraggi, è stato pedantescamente illustrato da Alberto Barbera che cosi intendeva schivare il domandone sulle tendenze e le novità. il film in concorso sono arrivati per ultimi, dopo un rosario lungo un’ora di nomi e di titoli. Pareva di stare a scuola, quando ti davano le liste dei vocaboli tedeschi da imparare a memoria (e tu sognavi una città dove i cinema aprivano alle dieci del mattino).

  

Intenso, sperimentale, cinema ai margini, migranti, fino a “un film fatto di niente ma di estrema poesia, basta superare la barriera” sono state le parole più frequenti. Siccome non ci stiamo a far sempre la figura di Franti l’infame che sorrise, riportiamo quel che scrisse Bobi Bazlen – uno di cui fidarsi, quando dà consigli, fu tra mille altre cose uno dei primi lettori di Italo Svevo – su un regista che “gli aveva rubato tre quarti d’ora di vita per mostrargli un nessuno che si prepara la corda per fuggire”. Non è finita: lo fa “con tutto il malinteso di scarno, essenziale antistorico, senza compromessi con il gusto del pubblico. Ma io povero diavolo sono il pubblico!” (il regista era Bresson, ora i cinefili possono svenire).

   

Lo cita Natalia Ginzburg, che si era annoiata a “Dillinger è morto” di Marco Ferreri. Le potremmo consigliare “La lucida follia di Marco Ferreri”, documentario di Selma Dell’Olio in programma al Lido, assieme alla copia restaurata di “La donna scimmia”. Provate a fare un film così adesso, e vi mettono in galera prima di cominciare; negli oscurantisti anni sessanta ci fu qualche tormento produttivo, ma alla fine Annie Girardot ebbe la sua faccia di scimmia.

      

Per rigirare il dito nella piaga, viene presentato con tutti gli onori “Thriller” di Michael Jackson, espanso in 3D e alla presenza del regista John Landis. Era il 1982. Sarebbe troppo chiedere a una prestigiosa Mostra Cinematografica di scovare i John Landis e i “moonwalk” di adesso, invece di marciare con trentacinque anni di ritardo rispetto al pop?

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