La messa in scena di Ismaele La Vardera gli americani l'hanno fatto meglio

Mariarosa Mancuso

Nel 1988, Robert Altman (regista) e Garry Trudeau (sceneggiatore) fecero partecipare alle primarie del Partito democratico il finto candidato Jack Tanner

Gli americani lo hanno fatto meglio. Anche molto prima. Con scopi più nobili dell’intercettazione (o qualcosa che le va molto vicino) e lo sputtanamento. A questo si ridurrà l’exploit di Ismaele La Vardera, finto candidato alle comunali di Palermo. Ha preso pochi voti. Ha rivelato che era una messa in scena per un film da girarsi con una telecamera nascosta. Prossimamente sugli schermi – dicono (ma a queste cose è meglio non credere finché non si vede il manufatto). Dicono anche che siano state firmate per immagini e il sonoro regolari liberatorie – il candidato era nella lista “Centrodestra per Palermo” – ora qualcuno si è pentito (dietro la beffa, Davide Parenti delle Iene).

 

Gli americani lo hanno fatto meglio. Nel 1988, con la regia di Robert Altman e la sceneggiatura di Garry Trudeau (del fumetto “Doonesbury”, vinse il premio Pulitzer nel 1975, nessuna parentela con il primo ministro canadese). Fecero partecipare alle primarie del Partito democratico – i delegati avrebbero dovuto decidere tra Jesse Jackson e Michael Dukakis – il finto candidato Jack Tanner (l’attore era Michael Murphy, amico di Woody Allen in “Manhattan”). Lo fornirono di programma e di spot elettorale. “For Real” era lo slogan, la sua spin doctor giurava di averlo carpito durante un discorso privato. Valeva come dimostrazione di sincerità – non per spararle grosse e poi dire “mi hanno frainteso”, ovvero il secondo sport nazionale italiano dopo il calcio. Il finto candidato aveva anche una finta figlia, fintamente malata – scusa ufficiale: per lei aveva lasciato il posto da senatore nel Michigan (era vera l’attrice Cynthia Nixon, ragazza da marito in “Sex and the City”). Vantava una bella lista di personalità da chiamare al governo: Lee Iacocca alla Difesa, la femminista Gloria Steinem alla Salute, Robert Redford agli Interni, il difensore dei consumatori Ralph Nader alla Giustizia.

 

Tutti dichiararono alla stampa e alle telecamere il loro impegno, pronti a onorarlo nel caso il candidato outsider avesse vinto. Firmarono le liberatorie, a nessuno viene in mente di ritirarle quando la Hbo mise in onda le undici puntate. Dieci anni prima della televisione-verità e in tempo per influenzare il giovane Aaron Sorkin, che allora aveva 27 anni (metterà poi “Tanner” tra le scintille di “The West Wing”). Mockumentary è il genere, un po’ lontano da “sconzajuoco” – palermitano per guastafeste: l’etichetta che La Vardera invoca per il suo exploit. Garry Trudeau racconta che due terzi delle scene di “Tanner” erano scritte e limate a tavolino, solo un terzo erano improvvisate o affidate all’inventiva degli estranei (che a Palermo, da quel che si capisce, ha prodotto più che altro parolacce, magre figure, cinismo). Nel 2004, Robert Altman ricordava la serie come il suo lavoro più geniale. Vinse Dukakis, e nessuno chiese di rifare le primarie.

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