Il cardinale Blase Cupich

I vescovi americani bocciano il candidato del Papa e una certa idea di chiesa

Matteo Matzuzzi

La sconfitta del cardinale Blase Cupich è un veto al ritorno di Bernardin

Roma. Che i vescovi americani faticassero, nella loro maggioranza, a sintonizzarsi sulle frequenze di Papa Francesco, era cosa nota. Che bocciassero il candidato a lui più vicino per la presidenza della commissione per la vita è invece una sorpresa. “Per la prima volta in quarant’anni l’organismo non sarà guidato da un cardinale”, fanno notare gli osservatori di politica ecclesiastica statunitense, commentando la sconfitta nel segreto dell’urna del cardinale Blase Cupich, arcivescovo di Chicago che Bergoglio scelse come successore a Francis George, quest’ultimo esponente di rilievo del cosiddetto “conservatorismo muscolare” che per decenni ha animato l’alta gerarchia americana. Cupich ha perso il ballottaggio con mons. Joseph Naumann, arcivescovo di Kansas City che su vita e famiglia non è certo un moderato pragmatico, bensì è collocato su posizioni da combattente delle culture war. Lo scorso maggio, Naumann aveva annunciato che le parrocchie della sua diocesi non avrebbero più ospitato le Girl Scouts a causa della loro affiliazione con Planned Parenthood, che tra i servizi femminili proposti comprende innanzitutto l’aborto. All’arcivescovo di Kansas City sono andati 96 voti, a Cupich 82. Più che un referendum su Papa Francesco, la maggioranza dei vescovi d’oltreoceano ha bocciato il ritorno in auge della “etica coerente a favore della vita” propugnata dal cardinale Joseph Bernardin, capofila tra gli anni Settanta e Ottanta dell’anima progressista della chiesa americana. Un modo di vedere le cose secondo cui l’aborto va condannato al pari della povertà, delle discriminazioni razziali e del mancato accesso universale alle cure mediche. Un filone di pensiero che ha avuto in George Weigel uno dei più decisi oppositori e che è stato criticato di recente anche dall’arcivescovo di Los Angeles (la più estesa diocesi degli Stati Uniti), l’ispanico mons. José Horacio Gómez, secondo cui “è un’idea sbagliata quella secondo cui tutte le questioni sono moralmente equivalenti”.

    

E’ così che allora si comprende la bocciatura di Cupich, che già l’anno scorso era stato escluso dal selezionato gruppo di candidati per un ruolo di vertice all’interno della Conferenza episcopale, fatto che – secondo diverse correnti di pensiero anche interne al Vaticano – avrebbe portato il Papa a crearlo cardinale, lasciando invece senza porpora sia l’energico arcivescovo di Philadelphia, mons. Charles Chaput, sia Gómez.

   

La scelta di Neumann conferma anche il lento recepimento di Amoris laetitia, l’esortazione post sinodale sulla famiglia che con ogni probabilità sarà affrontata in modo organico dai vescovi solamente nei prossimi mesi, con un piano pastorale da sottoporre all’attenzione delle diocesi pronto tra due anni. In un biennio, però, molte cose possono mutare, a cominciare dalla gerarchia. In questi anni, Francesco sta rimodellando il parco dei vescovi americani, preferendo sempre più profili vicini all’immagine del pastore con l’odore delle pecore anziché puntare su combattenti a difesa dei cosiddetti valori non negoziabili. In questo disegno un ruolo di primo piano ce l’ha l’ascoltatissimo (dal Papa) cardinale Donald Wuerl, arcivescovo di Washington che pur avendo superato il limite d’età dei canonici settantacinque anni è ancora in sella alla diocesi della capitale.

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.