foto LaPresse

Pro o contro il Papa, la chiesa di Francesco in mezzo alla guerra delle petizioni

Matteo Matzuzzi

Una lotta che vede il Papa in mezzo, tra i suoi strenui difensori e i suoi antagonisti. E non è solo una questione tra blogger, giornalisti interessati e tifosi

Roma. La petizione contro Amoris laetitia si chiama Correctio filialis, maestoso nome latino che già dà l’idea del contenuto teologico della questione. Di mezzo, infatti, ci sono “eresie propagate”, con il Papa tirato in ballo se non altro perché quel documento ha in calce la sua firma. La petizione a favore del Pontefice è più pop, più moderna: Pro Pope Francis, si intitola. Qui non è che si vada a cavillare sulle esortazioni post sinodali, su comunioni da dare o no ai divorziati risposati, su peccatori da accogliere o da respingere, ma si esprime un generico quanto sincero e accorato appoggio a Bergoglio per la sua missione pastorale a capo della chiesa. Per la verità, tra i contra ci sarebbe anche una vecchia “supplica”, che non ha mai ricevuto risposta da Francesco.

 

E’ la guerra delle petizioni, la chiesa sballottata dalle onde impetuose tra fazioni opposte che fanno a gara a chi aggiunge una firma in più rispetto all’altra. Posizioni inconciliabili su temi decisivi sui quali – in teoria – dovrebbe esserci unità di vedute quantomeno tra i pastori.

 

Una lotta che vede il Papa in mezzo, tra i suoi strenui difensori e i suoi antagonisti. Non è solo questione di blogger, di giornalisti interessati e tifosi, di nostalgici di Gregorio XVI o seguaci di Leonardo Boff di eminenti cattedratici attivi o a riposo.

 

Tra i battaglioni schierati ci sono anche pie suore, preti devoti, religiosi oranti. Una linea di faglia che non è più neanche sotterranea, ma che è emersa quasi del tutto. Qualcuno, biblicamente parlando, la definirebbe l’Apocalisse. Più modestamente, si tratta di un confronto a muso duro per capire dove sta andando la chiesa. Una situazione che non si vedeva da tempo, senza per forza di cose tornare indietro di secoli, ai primi concili dove i padri litigavano e s’azzuffavano discettando di sacramenti e di alta teologia.

 

Una realtà che diversi osservatori di questioni ecclesiastiche per la verità avevano già annunciato più d’un decennio fa, sostenendo che alla morte di Giovanni Paolo II si sarebbe aperto come un vaso di Pandora a lungo tenuto sigillato, con le diverse spinte tenute bene a bada da Wojtyla che sarebbero riemerse.

 

L’elezione di Benedetto XVI ha solo rimandato la resa dei conti. E non è un caso che oggi l’episcopato più esposto nel resistere alle novità portate da Amoris laetitia è quello polacco, che ancora pochi giorni fa ha dato una lettura assai restrittiva del documento. 

 

A fornire un ulteriore quadro della spaccatura ci ha pensato il cardinale Gerhard Ludwig Müller, prefetto emerito della congregazione per la Dottrina della fede. Intervenuto a Stresa al convegno “Leader o follower?” promosso dalla Fondazione Iniziativa Subalpina, il cardinale tedesco ha mostrato riserve sull’operato dell’arcivescovo argentino Victor Manuel Fernández, stretto collaboratore del Papa e considerato tra gli autori materiali di Amoris laetitia: “Non va bene far collaborare solo amici personali in queste cose. Ognuno può scegliere il metodo che preferisce per il proprio lavoro, ma poi c’è l’istituzione della chiesa di Roma. Con i suoi organismi. Fernández mi ha attaccato sui giornali, ma lui ha teorizzato addirittura il trasferimento della Santa Sede a Bogotà. Queste sono idee che vanno contro la fede cattolica”. Quanto alle accuse di essere nemico del Papa, Müller ha detto: “Si tratta di persone che non hanno avuto neanche il coraggio di venire a dirmi le cose in faccia. Sono metodi sporchi, da calunniatori”.

Di più su questi argomenti:
  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.