Papa Francesco (foto LaPresse)

Il Papa difende Amoris laetitia. Per dubbi rivolgersi al "maturo" Schönborn

Matteo Matzuzzi

Parolin: "Correzione formale? Si dialoghi anche nella chiesa"

Roma. E’ la prima volta, in forma organica, che il Papa interviene sulle polemiche che hanno per oggetto l’esortazione post-sinodale Amoris laetitia, prodotto dell’ultimo Sinodo sulla famiglia. Lo ha fatto lo scorso 10 settembre a Cartagena, in Colombia, nel corso d’una conversazione a porte chiuse con una rappresentanza delle locali comunità gesuite. Il testo è stato diffuso ieri dalla Civiltà Cattolica. “Approfitto di questa domanda per dire una cosa che credo vada detta per giustizia, e anche per carità. Infatti, sento molti commenti – rispettabili, perché detti da figli di Dio, ma sbagliati – sull’esortazione apostolica post-sinodale”. Entrando nel merito, ha aggiunto Francesco, “per capire l’Amoris laetitia bisogna leggerla da cima a fondo. A cominciare dal primo capitolo, per continuare col secondo e così via… e riflettere. E leggere che cosa si è detto nel Sinodo”. L’invito, insomma, è a non soffermarsi su parti del testo, capitoli singoli o note a piè di pagina, sulle quali ormai si discute da un anno e mezzo. “Alcuni sostengono – sono sempre le parole del Pontefice – che sotto l’Amoris laetitia non c’è una morale cattolica o, quantomeno, non è una morale sicura. Su questo voglio ribadire con chiarezza che la morale dell’Amoris laetitia è tomista, quella del grande Tommaso”.

 

A scanso d’equivoci, ha aggiunto Francesco, “potete parlarne con un grande teologo, tra i migliori di oggi e tra i più maturi, il cardinale Schönborn. Questo voglio dirlo perché aiutiate le persone che credono che la morale sia pura casistica. Aiutatele a rendersi conto che il grande Tommaso possiede una grandissima ricchezza, capace ancora oggi di ispirarci. Ma in ginocchio, sempre in ginocchio”. Il Papa ha quindi confermato che la lettura corretta dell’esortazione è quella data dall’arcivescovo di Vienna, che poi è colui che presentò il “compromesso” al termine del Sinodo del 2015, smussando le vigorose pretese di parte dell’episcopato del centro e nord Europa (tedeschi in testa, con il cardinale Reinhard Marx pronto a dichiarare che Roma non avrebbe deciso quel che si sarebbe fatto in Germania) e avvicinando, per quanto possibile, i padri indisponibili a scendere a patti su questioni quali confessione, matrimonio ed eucaristia. Il “compromesso”, cioè la relazione del circolo minore tedesco, fu votato all’unanimità, con Walter Kasper e Gerhard Ludwig Müller che davano entrambi il proprio placet. Altre interpretazioni, dubbi o rimostranze non hanno ragione d’esistere, insomma. E ieri è intervenuto anche il segretario di stato, il cardinale Pietro Parolin che, richiesto d’un parere sulla correzione filiale al Papa per dichiarazioni eretiche contenute nell’esortazione, ha detto che “è importante dialogare anche all’interno della chiesa”.

 

Ma nella conversazione in terra colombiana, il Papa ha parlato anche di populismo, partendo dal concetto di “popolo di Dio”. “A volte – ha detto – noi abbiamo la tentazione di fare evangelizzazione per il popolo, verso il popolo, ma senza il popolo. Tutto per il popolo, ma niente con il popolo. Questo atteggiamento risale a una concezione liberale e illuminista dell’evangelizzazione. Se vogliamo sentire la chiesa, dobbiamo sentire il popolo di Dio. Popolo… oggi bisogna fare attenzione quando si parla di popolo! perché qualcuno dirà ‘finirete per diventare populisti’ e si cominceranno a fare elucubrazioni. Ma – ha proseguito Francesco – bisogna capire che quella di ‘popolo’ non è una categoria logica. Se si vuole parlare di popolo con schemi logici e si finisce per cadere in un’ideologia di carattere illuminista e liberale oppure ‘populista’, si finisce per chiudere il popolo in uno schema ideologico. Popolo invece è una categoria mitica. E per comprendere il popolo bisogna starci immersi, bisogna accompagnarlo dall’interno”.

 

Il Papa aveva già spiegato, un anno prima, cosa intendesse quando parlava di “categoria mitica”. “La storia è costruita da questo processo di generazioni che si succedono dentro un popolo. Ci vuole un mito per capire il popolo. Quando spieghi che cos’è un popolo usi categorie logiche perché lo devi spiegare: ci vogliono, certo. Ma non spieghi così il senso dell’appartenenza al popolo”.

Di più su questi argomenti:
  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.