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Ecco perché Papa Francesco non intende mettere piede nella sua Argentina

Loris Zanatta

Parlano e straparlano i suoi amici, i devoti, gli innumerevoli portavoce, la cacofonia è tremenda e tale è il circo da non giovare all’immagine del Papa

Perché Papa Francesco non va in Argentina? Perché è andato in Africa centrale e in Asia orientale, in Svezia e in Turchia, perché va un po’ ovunque in America Latina, ma non nel suo paese? In Argentina, va da sé, fioccano le ipotesi e infuriano le polemiche. Nell’entourage del Papa fanno spallucce: il solito provincialismo; figuriamoci se Francesco ha tempo per simili quisquilie. Più passa il tempo, però, e più quella del Papa appare una scelta deliberata, un calcolo cosciente. Come spiegarlo, altrimenti? Nel dubbio, parlano e straparlano i suoi amici, i devoti, gli innumerevoli portavoce: chi l’ha appena incontrato, chi vanta antiche credenziali, chi allude a canali preferenziali; la cacofonia è tremenda e tale è il circo da non giovare all’immagine del Papa: dimmi con chi vai e ti dirò chi sei. Tutti pretendono di sapere perché il Papa non va in Argentina. Io non ne ho idea: osservo stupito e un po’ divertito. C’è una giornalista che si dice amica di Bergoglio da 17 anni. Le foto di lei e il Papa mani nelle mani parrebbero confermarlo. Già che c’era ha scritto un libro sul Papa “intimo” e ne ha profetizzato la beatificazione. Lei sa perché il Papa non va in Argentina. Ma non ce lo dice. E noi qui, morti di curiosità. Spulciando negli archivi, intanto, si scopre che la signora ha qualche scheletro nell’armadio, una condanna per truffa. Che sarà mai?

 

Sarà gelosia, ma a farle saltare i nervi sono gli altri amici di Bergoglio. Specie Gustavo Vera: tanti trovano incongruente che quell’ex militante trotzkista candidato nelle liste dell’ex presidente Cristina Kirchner, indagata per corruzione a man bassa, si atteggi a portavoce del Papa; e che il Papa lo accrediti. E’ un santo, dicono gli estimatori, che toglie le schiave sessuali dalle strade. E’ violento e senza scrupoli, di pochi lumi e nessun rispetto della legalità, dicono i detrattori. Si presenta per di più con la lista “Peronismo per il Bene Comune”, dov’è affiancato da Guillermo Moreno, uomo di simpatie bergogliane ma dai metodi spicci, diciamo pure violenti. Quand’era ministro kirchnerista del commercio aveva un potere immenso, che usò contro chi non si piegava, ed era famoso per truccare i dati economici del paese. Governava il commercio ma odiava il mercato: da buon peronista, da buon bergogliano. L’economia argentina l’ha sofferto un bel po’.

 

Ciò che in questi giorni si imputa loro e al Papa, è l’invito in Vaticano, a un vertice sulle nuove schiavitù, della procuratrice generale della nazione: la signora Gils Carbó. A rigore, non si capisce lo scandalo. Ma non sempre le cose sono come appaiono. La procuratrice, infatti, è figura molto discussa: perché è indagata in un grave caso di corruzione e ancor più perché è noto che in quella carica la piazzò Cristina Kirchner per occupare il potere giudiziario. Chiamarla a Roma non è mossa che unisca gli argentini. Su tutti si erge poi un vecchio dirigente peronista che con Bergoglio vanta, dice, un’antica amicizia, da quando bazzicavano Guardia de Hierro: peronista, cattolica, nazionalista, antiliberale, antimarxista. Nomen omen, si chiama Bárbaro e imperversa su tutte le tv. Il Papa, dice estatico, “è troppo grande per noi argentini”. Tutti, nessuno escluso! E guai a chi non è d’accordo, come quello storico italiano “contrattato” dai “ricchi cattolici” per “parlare male del Papa e del peronismo”: un “imbecille”. Bando allo straniero e alle critiche, cui risponde con la violenza dell’epiteto. Col rischio di far apparire intollerante colui in nome della cui amicizia parla: il Papa. Dagli amici ci guardi Iddio.

 

Ciò vale ancor più per Hebe de Bonafini, l’eroica madre di Piazza di Maggio, ormai nota più per l’incontinenza verbale, la volgarità intellettuale, la doppia morale del “chiagni e fotti”. Reduce da un lungo incontro col Pontefice, gli scrisse una lettera delle sue: “So – scrisse con la consueta familiarità usata col Papa – che pensi che la tua visita in Argentina sarebbe un piacere al Pastore Mauricio”, ossia al presidente Macri. Davvero il Papa glielo avrà detto? Sul serio intende castigare gli argentini per avere eletto un ricco liberale e non un rappresentante del “popolo”, ossia un peronista? Forse no o forse sì.

 

Ma per quanto patetico suoni tale vociare, chi supera tutti è un austero, colto e maturo prelato: monsignor Sánchez Sorondo, uomo di scienza, di curia vaticana e di famiglia ipernazionalista. Intervistato, non ha mostrato dubbi: il Papa non va in Argentina per non aggravare la grieta, per non gettare sale sulla spaccatura che da tempo immemore fende il paese; unitari e federali, liberali e cattolici, antiperonisti e peronisti. Possibile? L’autorità che più nel mondo si suppone riconcili, pacifichi, rassereni, è fonte di viscerali discordie nel suo stesso paese? Ebbene sì. I suoi amici non hanno dubbi: colpa degli argentini.

 

Gli umani sono così, si sa, deboli e peccatori. Ma non sarà che anche il Papa ha qualche responsabilità se la sua figura divide tanto? Se divide l’Argentina e sempre più divide altrove nel mondo? Se anche la coesione della chiesa non gode di buona salute? Se tali sono i suoi amici, se il suo cuore batte a senso unico, se pontifica su tutto, dal clima al fisco, dal lavoro alle migrazioni, dalla povertà allo sviluppo, se benedice gli uni e condanna gli altri, ovvio che divida. Intanto, la ragione per cui non va in Argentina rimane un segreto: di Fatima, o di Pulcinella.

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