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Non tutta la chiesa americana rimpiange gli Accordi sul clima di Parigi

Matteo Matzuzzi

"Vescovi deboli con Trump", è l'accusa dei giornali liberal. Ma la “debolezza” della risposta della Conferenza episcopale americana non è una sorpresa

Roma. Sì, è vero, la Conferenza episcopale americana ha subito pubblicato una Nota ufficiale in cui criticava la decisione trumpiana di ritirare gli Stati Uniti dagli Accordi di Parigi sul clima, ma “considerata la gravità morale della situazione, è una presa di posizione troppo debole”, ha scritto sull’autorevole rivista d’area progressista Commonweal Anthony Annett, consigliere per il cambiamento climatico e lo sviluppo sostenibile al Center for Sustainable Development della Columbia University, nonché membro di Religions for Peace. I vescovi americani “usano un linguaggio molto più duro quando si tratta del diritto di non scegliere la copertura assicurativa nei piani sanitari”, aggiunge Annett, notando invece come la reazione vaticana (il cancelliere della Pontificia accademia delle Scienze, mons. Marcelo Sánchez Sorondo, su tutti), sia stata molto più pesante. Questioni ambientali o valoriali, si torna sempre lì, alla distanza tra la chiesa statunitense e l’agenda (dichiarata o implicita) di Papa Francesco. Una distanza che c’è, e che infornate di nomine in discontinuità, di porpore cardinalizie assegnate con criteri facilmente intellegibili (così come le relative esclusioni dal Collegio), non ha ridotto. Presentava, Commonweal, la teoria dei politici cattolici repubblicani (da Gingrich la cui moglie Callista è la nuova ambasciatrice presso la Santa Sede, a Paul Ryan, fino al cattolicissimo Rick Santorum), che hanno plaudito alla scelta di Trump, rilevando l’incompatibilità con il magistero della chiesa, con la Laudato Si’ bergogliana e con quello che l’universa ecclesia va dicendo a ogni angolo del pianeta. Il cardinale birmano Charles Maung Bo, arcivescovo di Yangon, parla di “genocidio” – qui non ci sono di mezzo cristiani perseguitati, quindi l’uso del termine stavolta non indigna né crea troppe difficoltà all’attenta diplomazia d’oltretevere –  e solo pochi mesi fa diceva che “se i paesi ricchi non s’accordano per ridurre il riscaldamento globale, molte persone moriranno. Questo per me è un genocidio criminale, quando i poveri e i deboli sono esposti a una natura violenta creata da un illimitato uso dei combustibili fossili da parte dei paesi ricchi”.

 

James Schall, gesuita e fino a qualche anno fa titolare della cattedra di Filosofia politica alla Georgetown University di Washington, nonché prolifico autore di commenti e libelli, è perplesso da tale lettura catastrofista e al Foglio ricorda che “un tempo in Groenlandia cresceva l’uva”, tanto per dire che “tutti i cambiamenti climatici, se ci sono, sono naturali”. L’uomo c’entra poco, semmai è il Sole a decidere quanto il pianeta è caldo o freddo. “E Trump ha fatto l’unica cosa ragionevole che potesse fare. Ha guardato le prove” a sostegno degli accordi parigini, “così minime che non fanno alcuna differenza”. Posizione che il cardinale Blase Cupich, arcivescovo di Chicago e prima grande nomina di Francesco in terra americana (ha sostituito il combattivo Francis George), non condivide: “La cura ambientale è una questione globale e richiede uno spirito di cooperazione, non l’individualismo nazionale tristemente andato in scena” con l’annuncio di Trump. E’, questo, “un fallimento morale perché è un problema di vita o morte, specialmente per i poveri, i primi a soffrire gli effetti del cambiamento climatico”. La “debolezza” della risposta della Conferenza episcopale americana non è una sorpresa. Due anni fa, alla vigilia della presentazione di Laudato Si’ in Vaticano, tra grafici sullo scioglimento dei ghiacci e l’aumento degli uragani nel Golfo del Messico, i vescovi degli Stati Uniti decisero di inserire nel programma della loro assemblea annuale solo un vago riferimento “alla creazione di Dio” per quanto atteneva ai temi ambientali. Non una riga in più, con il cardinale Theodore McCarrick, arcivescovo emerito di Washington e da sempre ostile all’ala conservatrice dell’episcopato, che biasimava i colleghi confratelli, giudicandoli incapaci di “capire la complessità del problema”. Dietro i dubbi, i silenzi e gli imbarazzi, anche terrene questioni d’affari. La chiesa americana è ricca e il più delle volte chi finanzia è ostile a programmi e accordi come quello di Parigi. Da qui una posizione soft, di opposizione quasi di facciata, più esteriore che convinta, di un mondo che alle problematiche ambientali ha per decenni anteposto altre priorità e che oggi fatica a mettersi sulla scia di Cupich (che ha accelerato il programma di installazione dei pannelli solari sui tetti degli edifici diocesani) o del vescovo di Miami, mons. Wenski, che alla Laudato Si’ ha dedicato le omelie di un’intera estate. Padre Schall la mette sul piano filosofico-politico: “Fondamentalmente, la questione del cambiamento climatico è il piano sul quale la sinistra è andata a parare dopo la caduta del marxismo. E’ il sistema perfetto per controllare ciascuno, ovunque. E’ il totalitarismo perfezionato, perché dà allo stato il potere assoluto. L’unico problema è che questo sistema non è vero. E la visione cattolica di base ritiene che se una cosa non corrisponde alla Verità, non va seguito”.

  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.