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Ecco dove affondano le radici del magistero sociale della chiesa di Papa Francesco

Matteo Matzuzzi

Quanto il pensiero sociale di Jorge Mario Bergoglio può essere preso a modello e reso quindi valido per tutta la chiesa cattolica?

Roma. A dieci anni dalla quinta Conferenza dell’episcopato latinoamericano che si tenne ad Aparecida, in Brasile, e che pose le basi del pontificato bergogliano, Paul Seaton su First Things recupera un libro abbastanza recente di Thomas R. Rourke, docente alla Clarion University ed esperto di filosofia politica, religioni e America latina, per mettere a fuoco quella che definisce “l’eccentrica visione del magistero sociale” di Francesco. In The Roots of Pope Francis’s Social and Political Thought, Rourke analizza la serie di dicotomie che a suo dire caratterizza il pensiero sociale del pontificato corrente. E cioè nord-sud, imperialismo-populismo, ideologia-storia, astratto-concreto e così avanti”. La domanda che si pone l’autore è quanto il pensiero sociale di Jorge Mario Bergoglio possa essere preso a modello e reso quindi valido per tutta la chiesa cattolica. Un pensiero peculiare, non comune, che affonda le radici nel “contesto della chiesa latinoamericana del post Concilio”. S’è scritto, in questi ultimi quattro anni, ad abundantiam sulla teologia del popolo, non troppo distante dalla teologia della liberazione ma lontana nel punto incriminato che fu condannato negli anni Ottanta dal Sant’Uffizio sotto Giovanni Paolo II, è cioè l’uso dell’analisi marxista. Ma ciò che Rourke mette in evidenza è che il richiamo “alla chiesa povera per i poveri” altro non è che l’intento – più implicito che esplicito – a “gesuitizzare la chiesa”. Nessun intento critico, sia chiaro. Anzi: “L’andare nelle periferie” altro non è che la resa universale di quel che fecero i missionari della Compagnia nei secoli scorsi, soprattutto nell’America meridionale che Bergoglio ben conosce. Evangelizzazione, solidarietà con i popoli che di volta in volta s’incontrano, inculturazione del Vangelo in tutte le dimensioni della vita. Aspetto, quest’ultimo, che – scrive Seaton – “è l’indispensabile base per la politica e l’economia”.

 

Ma ecco il punto cruciale dell’analisi: è possibile applicare tale modello “eccentrico” all’universalità della chiesa? Ci provarono già i seguaci di san Francesco, desiderosi di “francescanizzare” la chiesa, notava G. K. Chesterton, plaudendo alla decisione del Papa di allora, che rifiutò tale impostazione. Una parte non poteva determinare il tutto. Neanche se la parte era quella in voga e che richiamava la necessità di purificare la chiesa, benché senza le derive new age, tra fiori e chitarre, che hanno annacquato l’originale francescano.

 

L’approccio seguito dal Papa regnante, scrive Rourke, è prettamente culturale, e pazienza se Pierre Manent abbia scritto che “il concetto di cultura è penetrato nel pensiero sociale cattolico dopo che la chiesa fu politicamente destrutturata, quasi fosse una sorta di compensazione”. Per capirlo, si deve risalire alle fonti della teologia del popolo, ai suoi fondatori. Primo fra tutti il filosofo uruguagio Alberto Methol Ferré, grande amico di Jorge Mario Bergoglio, scomparso nel 2009, che mise nero su bianco la distinzione tra “le chiese-fonte” e “chiese-riflesso”. La chiesa cattolica, intendeva il filosofo, è diventata mondiale perché sente la presenza di altre chiese locali, che prima invece erano un suo puro riflesso. Spesso, asfittiche. Fondamentali sono le prime, le chiese-fonte, perché “riflettono i segni dei tempi nel senso migliore, realizzando il Vangelo rispetto alle circostanze dell’epoca presente”. Partendo da tale assunto, scriveva Methol Ferré, si arriva alla constatazione che dopo cinquecento anni la chiesa latinoamericana ha la capacità per assumere un ruolo di leadership nella chiesa e per tutta la chiesa. “E Bergoglio – conclude Rourke – ha assorbito questa visione e vede il suo pontificato in questa luce. Questo è il tempo per la chiesa latinoamericana di diventare una chiesa-fonte”.

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.