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Il Papa ad al Azhar: "La violenza nega ogni autentica religiosità"

Matteo Matzuzzi

Francesco saluta il presidente al Sisi e condanna "il pericoloso paradosso che tende a relegare la religione nella sfera privata"

Roma. Il presidente Abdel Fattah al Sisi si toglie gli occhiali da sole solo all’interno della sala dove scorre la teoria di ospiti e invitati alla cerimonia d’accoglienza organizzata per il Papa di Roma, pellegrino nell’Egitto dove la convivenza millenaria tra cristiani e musulmani è ogni giorno resa più ardua dal fondamentalismo. Prima, all’esterno, tra guardie d’onore impettite e bandiere, Francesco ascolta l’Inno pontificio eseguito dalla non eccelsa banda delle Forze armate locali, che in passato aveva trasformato davanti a un François Hollande imbarazzato la Marsigliese in una nenia dimenticabile. Poco dopo la visita di cortesia al presidente della Repubblica, ecco uno dei momenti più attesi della due giorni papale in terra d’Egitto, il discorso ai partecipanti alla Conferenza internazionale per la pace, che ha nel Grande imam di al Azhar, Ahmed al Tayyeb, il principale sponsor e organizzatore.

 

Francesco ricorda le antiche origini della “civiltà sorta sulle rive del Nilo”, quindi – entrando nel cuore della questione – ha toccato il tema dell’educazione, sul quale è solito insistere il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso. “La sapienza ricerca l’altro, superando la tentazione di irrigidirsi e di chiudersi” e “rifiutando la paura dell’altro”, ha detto Bergoglio prima di sottolineare che “un’autentica alleanza sulla terra non può prescindere dal Cielo” e che “l’umanità non può proporsi di incontrarsi in pace escludendo Dio dall’orizzonte”. Questo, ha sottolineato il Papa, “è un messaggio attuale, di fronte all’odierno perdurare di un pericoloso paradosso, per cui da una parte si tende a relegare la religione nella sfera privata, senza riconoscerla come dimensione costitutiva dell’essere umano e della società; dall’altra si confonde, senza opportunamente distinguere la sfera religiosa e quella politica”. Il rischio è quello che “la religione venga assorbita dalla gestione di affari temporali e tentata dalle lusinghe di poteri mondani che in realtà la strumentalizzano”. Il discorso va capovolto, perché “oggi specialmente la religione non è un problema ma è parte della soluzione: contro la tentazione di adagiarci in una vita piatta, dove tutto nasce e finisce quaggiù, essa ci ricorda che è necessario elevare l’animo verso l’Alto per imparare a costruire la città degli uomini”. E però l’attualità impone riflessioni ulteriori, perché “mentre ci troviamo nell’urgente bisogno dell’Assoluto, è imprescindibile escludere qualsiasi assolutizzazione che giustifichi forme di violenza.

 

La violenza – ha detto il Papa – è la negazione di ogni autentica religiosità” e “in quanto responsabili religioso, siamo chiamati a smascherare la violenza che si traveste di presunta sacralità”. Francesco ribadisce quali sono, a suo dire, le cause di questa violenza, a cominciare dalla proliferazione di armi che, “se vengono prodotte e commerciate, prima o poi verranno pure utilizzate. Solo rendendo trasparenti le torbide manovre che alimentano il cancro della guerra – ha aggiunto – se ne possono prevenire le cause reali”. Il fatto, “sconcertante” è che “mentre da una parte ci si allontana dalla realtà dei popoli, in nome di obiettivi che non guardano in faccia a nessuno, dall’altra, per reazione, insorgono populismi demagogici, che certo non aiutano a consolidare la pace e la stabilità: nessun incitamento violento garantirà la pace, e ogni azione unilaterale che non avvii processi costruttivi e condivisi è in realtà un regalo ai fautori dei radicalismi e della violenza”.

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.