La chiesa cristiana di Mar Schmony a Derik, in Siria

La guerra di religione che Papa Francesco non vede

Claudio Cerasa
Per il Pontefice “violenza, conflitto e terrorismo si alimentano con paura e disperazione” che “nascono da povertà e frustrazione”. Il modo giusto di rispondere alla minaccia jihadista non è negare lo scontro religioso. Chiedere a ebrei e cristiani in medioriente.

Al direttore - La notizia dell’attentato di Rouen ha sorpreso i vescovi italiani a Cracovia. Per non “speculare su momenti drammatici”, il loro segretario generale ritiene oggi necessario non tanto “arrivare alla sicurezza, ma arrivare a tollerare l’insicurezza”. Parole francamente inadeguate, seppur forse calibrate su quelle pronunciate da Papa Francesco. Il quale, anche quando il terrore colpisce in chiesa, non vuol comunque sentir evocare il discorso di Ratisbona… Già, ma l’idea di cancellare la memoria di Ratzinger a colpi di esternazioni di Nunzio Galantino non sembra una grande idea.

Luigi Compagna

 

 

Papa Francesco ieri ha aggiunto un particolare importante alla sua collezione di dichiarazioni post attentati islamici. Secondo il Papa, dunque, “violenza, conflitto e terrorismo si alimentano con paura e disperazione” che “nascono da povertà e frustrazione”. Il terrorismo, ovviamente, non è altro che una “follia omicida” e una “violenza assurda”. E infine, come ha detto ieri Francesco, “tutte le religioni vogliono la pace” e quando si parla di guerra, ovviamente, “si parla di una guerra di interessi, di soldi, di risorse, non di religione”. Non penso siano d’accordo i cristiani che da anni vengono sterminati in medio oriente, da Mosul ad Aleppo, perché colpevoli di essere cristiani. E non penso siano d’accordo con il Papa neppure quegli ebrei che vengono sterminati da decenni dagli islamisti (non solo dall’Isis) in nome di una guerra combattuta per ragioni che non c’entrano nulla con i soldi o con gli interessi (gli infedeli, per i jihadisti che si abbeverano dei versetti più violenti del Corano, meritano di essere puniti per il loro essere infedeli).

 

Le parole di Papa Francesco spiazzano, anche se non stupiscono, perché, ancora prima del prete sgozzato a Rouen, era chiaro che quella messa in campo dall’Isis è anche una guerra religiosa contro l’infedeltà dell’occidente e contro le religioni dell’occidente (in primis il cristianesimo). Francesco non può dirlo, perché la chiesa cattolica ha contribuito a trasformare la guerra in una questione semplicemente di etica e morale, ma contro questa minaccia ci sarebbe un solo modo per rispondere: mettere in campo una violenza incomparabilmente superiore a quella messa in campo dai tagliagole, con quelle armi materiali che si usano in ogni conflitto per annientare il nemico. Al Francesco che nega la presenza di una guerra di religione, infine, andrebbe riproposta una bellissima intervista offerta qualche mese fa al nostro giornale dall’arcivescovo cattolico greco-melkita di Aleppo, mons. Jean-Clément Jeanbart: “Il mondo non può essere testimone di una soluzione finale in medio oriente che si è scatenata contro le comunità cristiana, yazida e turkmena”. Il medio oriente oggi rischia di diventare l’Europa. E negare la radice religiosa della guerra portata avanti dai nazisti dello stato islamico contro l’occidente non è un modo per difendersi ma per spianare la strada ai nostri avversari, e ai nuovi totalitarismi.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.