foto di Claire Cessford (via Flickr)

Tragicommedia romana con caccia al ratto, mezza-bufala veneta e fantasma di Ernesto Nathan

Marianna Rizzini

Accade l’impensabile, a Roma, dove è scoppiato il caso del “rat-buster”, l’acchiappatopi amico dell’assessore alle Partecipate Massimo Colomban

Non siamo a New York, dove la saga dei cittadini in lotta con i topi giganti, qualche anno fa, aveva preso una forma orrorifico-grottesca, con leggende metropolitane sui roditori ghiotti di hamburger e sulle strade rese non attraversabili dagli eserciti di pantegane in corsa da un lato all’altro della carreggiata. Siamo a Roma, anno 2016, e la caccia ai topi o ratti che dir si voglia, incubo ricorrente nella città minacciata non soltanto dall’invasione dei pullman turistici, ma anche dal fantasma dell’emergenza monnezza, è diventata canovaccio da commedia. Accade infatti l’impensabile, a Roma, dove è scoppiato il caso del “rat-buster”, l’acchiappatopi amico dell’assessore alle Partecipate Massimo Colomban.

 

Trattasi di Massimo Donadon, veneto come Colomban e imprenditore-leggenda nel ramo derattizzazione, con metodo sperimentato in più paesi, come scrive Repubblica nell’edizione locale, e riassumibile con la formula: fai mangiare al roditore quello che mangiano gli abitanti della sua città (“a New York esche con margarina e scarti di fast food”, a Boston esche con “maiale”, a Dubai esche con aromi di “cucina fusion”, a Parigi esche con burro). E, complice un’intervista (incauta) rilasciata da Donadon alla Tribuna di Treviso, in cui pareva che l’imprenditore avesse incontrato il sindaco Virginia Raggi, pareva già realtà lo sterminio dei topi grazie alle cosiddette “esche alla vaccinara”. Invece, ha detto Donadon dopo la smentita del Campidoglio, l’incontro è avvenuto con una semplice funzionaria comunale di cui l’imprenditore non ricorda il nome, ma che gli era parsa interessata ai suoi prodotti (per un test gratis in città), vista la non efficacia dei sistemi anti-ratto finora provati. “Bluff” di Donadon, è stato detto, ma nel mondo delle post-verità la mezza-verità o mezza-bufala di Donadon (anche detto “El Sorzon”) è parsa subito ai romani più vera del vero e meno falsa del falso, specie per quella suggestione dell’esca alla vaccinara, particolare non horror ma splatter (“local” e non “glocal”, come si dice presso le cattedrali del cibo&vino).

 

Particolare capace di riportare alla memoria il sindaco-icona e nume tutelare di Roma Ernesto Nathan, che nel 1907 se la prese non con i topi ma con i gatti che dovevano farli fuori: gli toccò infatti, causa bilancio in rosso, di ridurre il capitolo di spesa “trippa per gatti” (da cui il detto “nun c’è trippa pe’ gatti”), e cioè le risorse per le “frattaglie” destinate alla colonia felina mantenuta dal Comune con l’intento di garantirsi una difesa naturale contro i roditori, minaccia costante per i documenti dell’archivio capitolino. Verità o non verità (leggendaria) vuole che Nathan pensasse di costringere i gatti ad adoperarsi per la propria sopravvivenza senza “sussidio” in frattaglie: se non regaliamo frattaglie i gatti dovranno tantopiù rincorrere i topi, era il concetto (frase forse detta da Nathan e forse no: “Se non ci saranno più topi, vorrà dire che i gatti non serviranno più”).

 

Tutto si tiene, ché l’aneddoto, in tempi non renziani, fu raccontato a un Matteo Renzi non ancora premier né segretario da Ignazio Marino, sindaco eletto nel 2013 con la grancassa delle promesse pedonali sui Fori della discordia. Poi vennero i conteggi (ha scritto Sergio Rizzo: “…gli esperti che fanno sfilare davanti agli occhi dei dirigenti le slide con le immagini delle differenti razze di roditori, circolano numeri impressionanti. C’è chi stima la popolazione dei ratti capitolini fra i sei e i nove milioni di esemplari: da due a tre per ogni cittadino…”). E venne il terrore di finire come New York, con la vera verità (documentata con foto) dei due topi che si litigano una fetta di pizza.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.