Un frame del video del blitz dei Carabinieri a Santa Maria di Gesù

Il blitz che dimostra la debolezza della mafia più di mille processi

Massimo Bordin

Coloro chiamati a scegliere il nuovo boss sono passati da un centinaio a una ventina 

Il blitz di due giorni fa a S. Maria di Gesù, nella periferia orientale di Palermo, ha prodotto ventisette provvedimenti di arresto, alcuni per la verità notificati in carcere a persone già detenute. Proprio quest’ultimo aspetto fa tornare i conti con le intercettazioni sulle quali si è fondata l’operazione volta a colpire la locale famiglia mafiosa, radicata nel quartiere da decenni. I cognomi di alcuni arrestati infatti evocano antiche storie delle guerre di mafia del secolo scorso. Se si scorre la lista dei 27 si trovano due Vernengo – si chiamano tutti e due Cosimo come il capostipite, gran trafficante di droga arrestato a Napoli negli anni 80 – due Tinnirello, due Gambino, due Profeta e perfino uno Scarantino, probabilmente parente dei Profeta come lo era lo Scarantino famoso, il falso pentito del processo sulla strage di via D’Amelio. Molti di questi sono in carcere ma evidentemente ancora ritenuti membri della cosca, tutt’ora attiva ma molto ridimensionata. Infatti l’operazione si prefiggeva di impedire la riorganizzazione formale del gruppo che intendeva procedere alla nomina del nuovo capo.

 

Qui sta il conto che deve tornare, perché una intercettazione riguarda un colloquio fra due mafiosi in cui il più anziano racconta all’altro come, ai bei tempi, fossero più di cento a votare il capo famiglia “e alla fine acchianava sempre Stefano Bontate”, ucciso nel 1982. Poi ci fu il maxi processo e, dopo un declino durato 36 anni, ora, dice l’intercettato, a votare sono meno di venti. Tolti i già detenuti, i conti tornano. Non è ancora la fine della mafia ma blitz di questo tipo la accelerano molto più di certi processi senza costrutto.

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