LaPresse/Vincenzo Livieri

Abolire tre parole per non creare più equivoci

Massimo Bordin

Non siamo a Downing street, quindi da noi non esistono i “premier”. Dire “candidato” non ha senso. Per non parlare di  “impresentabile”

Tre parole che creano equivoci, e dunque dibattiti inutili, stanno già ingolfando agenzie e talk che dopo le elezioni siciliane si proiettano su quelle nazionali a venire. Le prime due marciano unite e sono “candidato premier”. La seconda, a Costituzione vigente, nel nostro sistema non esiste. Il nostro presidente del consiglio si chiama così proprio perché non è un premier. Infatti sta a palazzo Chigi e non a Downing street e non può decidere lui, per esempio, quando sciogliere le camere. Il premier italiano esiste solo nei titoli dei giornali per risparmiare spazio a scapito della precisione. Quanto al termine “candidato”, avrebbe un senso se ci fosse una elezione diretta ma non c’è mai stata. Potrebbe anche averlo se il sistema si reggesse su due partiti o poli antagonisti, ma non è più così per scelta degli elettori. Dunque candidarsi prima del voto non ha alcun senso. Dopo saranno i gruppi parlamentari a proporre al presidente della Repubblica i nomi e il presidente sceglierà quello che, a suo parere, avrà più probabilità di ottenere i voti in Parlamento. Se non li ottiene si riprova con un altro. Alla fine si può anche rivotare. Se finisce male si finisce come a Weimar o almeno come a Madrid. La terza parola è “impresentabili”. Per il De Mauro la parola, se usata per le persone e non per i documenti, vuol dire “che non può essere presentato in pubblico”. Figuriamoci alle elezioni. Ma chi decide? La legge, in generale, sull’elettorato passivo e, per buona misura, una ad hoc, la legge Severino, tutt’ora in fase di interpretazione. Il resto è pura opinione, anche se espressa da una commissione parlamentare a ciò delegata.