Antonio Ingroia (foto LaPresse)

L'appello di Spataro contro la giustizia dei teoremi (di Ingroia)

Massimo Bordin

Sul Fatto Quotidiano il procuratore capo di Torino contro la campagna dell'ex magistrato per riaprire, senza nuove prove, il processo sulla morte per overdose di un urologo

Il modo di ragionare di Antonio Ingroia veniva così sintetizzato all’inizio di un ampio articolo pubblicato ieri dal Fatto: “I magistrati che non la pensano come lui sono all’evidenza genuflessi di fronte all’arroganza del potere, usano passi felpati nelle loro inchieste, rinunciano alla ricerca della verità e fanno in tal modo carriera”. La sintesi si attaglia perfettamente anche alla linea editoriale del giornale che ha pubblicato l’articolo e che pure non brilla per problematicità e pluralismo. Infatti a firmare non è un redattore ma un autorevole lettore: il procuratore capo di Torino Armando Spataro, profondamente irritato dai toni della campagna di Ingroia per riaprire l’inchiesta sulla morte per overdose di un urologo. Secondo Ingroia, avvocato della famiglia del medico, si tratta di un delitto di mafia. L’urologo operò a Marsiglia Bernardo Provenzano e poi fu ucciso. Questa la sua tesi che definisce il presunto omicidio quello di un “testimone di un pezzo del mosaico dell’indicibile accordo fra mafia e stato”. Solo che non c’è una prova di tutto ciò, non solo dell’omicidio ma anche del ruolo del medico, argomenta analiticamente il procuratore Spataro, che in conclusione propone un suo personale appello: “Basta con il consueto repertorio di tesi complottistiche. Basta con l’auto proclamarsi unici difensori del bene e della verità contro il male e gli inconfessabili interessi dei ‘poteri forti’ o dei ‘mandanti esterni di turno’ e basta con i processi fondati su indimostrati, pur se suggestivi, teoremi”. Non resta che alzarsi e applaudire, aspettando con curiosità il seguito della polemica.