Una foto della strage di via D'Amelio

L'ombra su via D'Amelio

Massimo Bordin

Le responsabilità dei pubblici ministeri, messe a nudo da Fiammetta Borsellino, ricordate dai radicali a Catania  

Scrivo in grave ritardo, tornato dalla Sicilia dove ho cercato di dare un modesto contributo alla “carovana” del partito radicale e dell’Unione camere penali che sta attraversando l’isola organizzando momenti di mobilitazione sui temi della giustizia e del diritto alla conoscenza. Dopo essere stati a Siracusa, da ieri sono a Catania, dove hanno preso una iniziativa di notevole significato eppure “scorrettissima”, come sottolinea orgogliosamente il dirigente radicale Maurizio Turco. Hanno deposto delle fiammelle davanti al palazzo di giustizia di Catania per ricordare le parole pronunciate da Fiammetta Borsellino a proposito dell’operato del pubblico ministero, allora di Caltanissetta, che chiesero e ottennero la condanna di persone poi rivelatesi estranee alla strage di via D’Amelio. L’operato di quei magistrati, che avallarono le accuse di un finto pentito di qualcosa che nemmeno lui aveva commesso, non li fa necessariamente consapevoli di quello che ora tutti, compresi loro, chiamano un depistaggio ma lascia, nella migliore delle ipotesi, una pesante ombra sulla loro professionalità. Ai pm di Catania toccherebbe occuparsi di quello che è successo nel palazzo di giustizia di Caltanissetta, riassunto in poche parole dalla figlia del giudice massacrato: “Venticinque anni di schifezze e menzogne”. Su queste parole è calato il buio del silenzio. A parte quei lumini.