Quando negli anni '70 i giudici “passeggiavano” nelle stanze del Pci

Massimo Bordin

Il racconto del segretario della Fgci di Padova e di quel giorno del 1979 quando scoprì che “la sinistra italiana non è realmente garantista”

Su Facebook c’è da parecchio tempo una pagina intitolata “Sono stato iscritto al Pci”. È frequentata da persone non giovanissime, alcune note, molte no, che commentano l’attualità con gli occhiali, variamente rifocalizzati, della loro antica militanza. Talvolta i ricordi vengono utilizzati per comprendere l’oggi e spesso la cosa si fa interessante. Ieri è apparso un post del segretario, alla fine degli anni Settanta, dei giovani del Pci di Padova. Erano anni per loro di scontro con l’Autonomia. Proprio a Padova, nel 1979, iniziò una inchiesta sfociata nel processo 7 aprile, così detto dal giorno dei numerosi mandati di cattura. Il giovane segretario della Fgci fu allora chiamato a testimoniare in aula e racconta che il giorno prima fu convocato in federazione nella stanza del segretario cittadino dove trovò anche il pm del processo che concordò con lui lo schema delle domande e delle risposte. “Assolutamente veritiero” scrive, ma aggiunge “sostanzialmente”. Imparato il canovaccio a memoria, lo espose l’indomani di fronte ai giudici, e agli imputati. Oggi scrive che gli parve una esperienza straniante rispondere con formale verbalizzazione a quel signore in toga che il giorno prima, vestito più normalmente, lo aveva istruito in federazione e che sarebbe l’ora di ammettere che “la sinistra italiana non è realmente garantista, non lo è dentro, come è antirazzista o egualitaria, perché quella generazione imparò che i giudici passeggiano negli uffici di un partito”.

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