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Zuccaro non è Falcone, nonostante si sia di nuovo paragonato sobriamente a lui

Massimo Bordin

Lo svelamento sulla stampa di un filone di indagine per costringere il potere politico ad occuparsene non è mai stata una scelta di magistrati come Falcone

Nella sua audizione alla commissione parlamentare antimafia il procuratore capo di Catania Carmelo Zuccaro non pare avere proposto novità sulle sue «indagini conoscitive». Ci sono stati molti passaggi in seduta segreta ma forse l’unica ulteriore precisazione sta nell’aver chiarito, si fa per dire, che oltre alla già proclamata assenza di prove dopo la sua personale ricognizione sul Mediterraneo, le famose prove non sono nemmeno nelle carte in suo possesso. Dunque non era solo un problema di inutilizzabilità processuale, piuttosto di inutilità. Uno spunto però, nei ragionamenti del procuratore di fronte agli onorevoli commissari, va colto. Quando Zuccaro si è di nuovo paragonato sobriamente a Giovanni Falcone ha riproposto un argomento che merita una riflessione. Lo svelamento sulla stampa di un filone di indagine per costringere il potere politico ad occuparsene non è mai stata una scelta di magistrati come Falcone, che dava interviste quando si sentiva poco sostenuto dal vertice del suo ufficio. La sua era autodifesa e volontà di proseguire indagini che i vertici della procura, coi quali aveva pessimi rapporti, gli impedivano. Per il resto, prima di parlare di Buscetta in pubblico provvide a verbalizzarne le confessioni e a far arrestare le persone chiamate in causa. Il caso di Zuccaro è diverso perché il capo della procura è lui e non risulta che qualcuno gli abbia messo i bastoni fra le ruote, anzi quasi tutti fanno a gara a dirgli di andare avanti. Peraltro le interviste in cui Falcone difendeva le sue indagini in corso erano sacrosante, ma solo perché era lui.

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