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Un primo maggio alternativo con Juan Martin Guevara a Pescara

Massimo Bordin

Quando parla del mitico Che, ne esalta certamente le idee, le fa sue ma tiene anche a dire che, al contrario di altri parenti, lui non si è mai trasferito a Cuba a incarnare, anche involontariamente, la parte del fratello dell’eroe

Un primo maggio passato a parlare con un personaggio interessante è un tipo di opportunità che un cronista deve saper non solo apprezzare ma valorizzare. Non so quanto mi sia riuscito su un palco in una grande piazza piena di giovani, fra un gruppo musicale e un altro. Folla composta e civile, quella del primo maggio a Pescara, ma quando devi parlare a gente che fino a un minuto prima ballava e ora aspetta di sentire il gruppo clou della serata, intervistare l’autore di un libro su un personaggio che molti ricordano come un eroe ed è comunque una figura ormai mitica, qualche concessione alla retorica da parte del cronista, per tenere avvinta l’attenzione del pubblico, si può forse considerare normale. Meno usuale che a non concedere nulla alla retorica sia l’autore del libro sull’eroe scomparso, che era per di più suo fratello. Eppure Juan Martin Guevara, quando parla del mitico Che, ne esalta certamente le idee, le fa sue ma tiene anche a dire che, al contrario di altri parenti, lui non si è mai trasferito a Cuba a incarnare, anche involontariamente, la parte del fratello dell’eroe. Così come, quando militò politicamente in Argentina, tenne nascosto ai compagni di lotta il suo vero cognome, che certo non gli fu utile quando i militari lo arrestarono per tenerlo in carcere nove anni. Neanche su questo un filo di retorica. E fu così che scesi dal palco di Pescara pensando al fratello di Paolo Borsellino.

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