Michele Emiliano (foto LaPresse)

Quello che Emiliano scorda parlando dei congiuntivi del Pci

Massimo Bordin

Il candidato alla segreteria del Pd continua a sostenere che il partite non deve occuparsi delle difficoltà di alcuni esponenti di spicco del M5s nel coniugare i verbi

“Siamo un partito storicamente fatto da persone che hanno avuto difficoltà con la lingua italiana, perché non avevano avuto la stessa educazione degli altri e non abbiamo mai pensato che chi avesse difficoltà con la lingua italiana non fosse degno dello stesso rispetto”. Per questo – ha sostenuto ieri a Bari Michele Emiliano – il Pd non deve occuparsi delle difficoltà di alcuni esponenti di spicco del M5s nel coniugare il congiuntivo. Nelle sue parole però, oltre a mostrare, se non errori, almeno un certo appesantimento nella coniugazione evocata, Emiliano omette di ricordare che al vertice del Pci, perché questo è il partito cui si riferisce, ci sono stati Togliatti e Natta, che parlavano un italiano più che perfetto e conoscevano a menadito latino e greco antico. Anche gli altri dirigenti parlavano un italiano impeccabile, talvolta perfino lezioso. Ci fu una sola eccezione nel vertice comunista, un illustre corregionale del magistrato governatore candidato segretario: Giuseppe Di Vittorio, il cui italiano effettivamente talvolta zoppicava. Ma Di Vittorio, grande segretario della Cgil, era stato un bracciante, figlio e nipote di braccianti, che fu costretto ad abbandonare, dopo la morte del padre, la scuola elementare per aiutare i familiari a lavorare nei campi. Non risulta che Di Maio si sia mai impegnato nella raccolta dei pomodori, avendo in tutta comodità percorso un ciclo di studi che lo ha portato prossimo alla laurea. Per questo far notare i suoi reiterati errori sui congiuntivi, come gli sfondoni in storia e geografia, non è un insulto classista ma una chiave di lettura del personaggio. Oltre che della scuola contemporanea.

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