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I pataccari della Trattativa

Massimo Bordin

Un caso come quello di Ciancimino jr. non s’era mai visto. Come del resto ancora non era successo che un pm portasse a testimoniare il suo capo scorta

Una premessa è necessaria. Di questi tempi, l’impermeabilità ai fatti è una caratteristica di molti. Per esempio nel processo sulla cosiddetta trattativa si sono verificati fatti della forza di un’ondata oceanica, ma di fronte a essa c’è chi indossa una cerata da baleniere. Eppure i fatti sono davvero tanti. La certificazione – giudiziaria, si badi, non giornalistica – di pataccaro o di propalatore è un timbro col quale giudici di vario grado hanno bollato, nelle loro sentenze o ordinanze, diversi testimoni chiave per l’accusa, ma nulla scalfisce non solo la sicumera ma addirittura la risentita denuncia di mancati riconoscimenti e onori per chi conduce l’accusa in questo disgraziato processo. L’ultima vicenda, di cui qui si è riferito ieri, non può nemmeno essere addebitata al dottore Ingroia, pure spericolato inventore della inedita figura del super teste dell’accusa imputato di calunnia nello stesso processo. A norma di codice è possibile, certo, ma un caso come quello di Ciancimino jr. non s’era mai visto. Come del resto ancora non era successo che un pm portasse a testimoniare il suo capo scorta sulla base di una denuncia valutata da un gip una propalazione diffamatoria quando non calunniosa. Qui, sia detto a suo onore, il dottore Ingroia non c’entra nulla. E’ tutta farina del sacco del dottore Antonino Di Matteo che nel dibattimento ha preso le redini dell’accusa e certo non è stato un percorso netto. Ma non sono solo i pm a non uscirne benissimo. E’ emblematica l’immagine di Salvatore Borsellino che abbraccia Ciancimino jr. ed è sgradevole pensare che la scena possa ripetersi con il capo scorta rinviato a giudizio.

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