Rosy Bindi (foto LaPresse)

La mafia e il governo della Sicilia. Una lettura per Rosy Bindi

Massimo Bordin

Chissà se il presidente, occupatissima a far lavorare la commissione antimafia su massoni e squadre di calcio, avrà letto l'editoriale di Paolo Mieli?

L’editoriale di Paolo Mieli, ieri sul Corriere della Sera, proponeva al lettore una serie di cifre, incontrovertibili e impressionanti, a proposito del modo in cui è governata la Sicilia. Storie non nuove, come le false pensioni di invalidità, la presenza fra i forestali di pregiudicati, taluni per incendio doloso, altri per associazione mafiosa, oppure la riscossione fiscale eseguita in modo talmente carente da smuovere nel lettore un certo rimpianto per i cugini Salvo. La coincidenza dell’asciutto editoriale, pieno di dati di fatto, con le pur nobili parole del presidente della Repubblica contro le organizzazioni mafiose e gli articoli a rinforzo, non privi di qualche retorica, pubblicati da molti giornali, evidenzia un problema. La grande mobilitazione contro la mafia va benissimo ma certo stona terribilmente la presenza di nomi di politici, che a parole non hanno mai risparmiato le loro prese di posizione antimafiose, nell’elenco che Mieli stila dei responsabili di un simile andazzo amministrativo, formidabile brodo di coltura per ogni tipo di criminalità, organizzata o meno. Impietosamente nell’articolo viene anche notato come siano proprio le principali figure del governo siciliano a denunciare i risultati disastrosi del proprio operato, attribuendoli a oscure macchinazioni di loro avversari politici, in combutta con la mafia, in una polemica senza fine e senza logica, a parte le dilapidazioni e l’illegalità. La presidente Bindi, occupatissima a far lavorare la commissione antimafia su massoni e su squadre di calcio, avrà trovato il tempo di leggere l’articolo di Mieli?

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