La fotografia e il delitto Moro

Massimo Bordin
“La relazione di fine anno sarà di grande interesse”, assicura, con sguardo lungo, l’onorevole Beppe Fioroni, presidente della commissione parlamentare sul delitto Moro, quella che, per distinguerla dalle precedenti innumerevoli commissioni sullo stesso tema, tutti chiamano l’ennesima.

“La relazione di fine anno sarà di grande interesse”, assicura, con sguardo lungo, l’onorevole Beppe Fioroni, presidente della commissione parlamentare sul delitto Moro, quella che, per distinguerla dalle precedenti innumerevoli commissioni sullo stesso tema, tutti chiamano l’ennesima. Il presidente Fioroni è euforico, ha ricevuto posta dal Ris, quei carabinieri con la tuta bianca eroi in più trasmissioni tv di cronaca giudiziaria trash. Dovevano ingrandire una fotografia di cui vi abbiamo già parlato a suo tempo. Fioroni ne fece grande sfoggio anche se demoliva una tesi da lui strombazzata poche settimane prima a proposito di un bar in via Fani che tutti avevano dato per chiuso il giorno dell’agguato e invece no, assicuravano gli onorevoli investigatori, era aperto. Arrivò la foto, di una piccola folla che osservava i primi rilievi della polizia dopo la strage, assiepata sul prato davanti al bar. Inequivocabilmente chiuso. Ma c’era ben altro. Un giovane nella folla, somigliante a Lucio Battisti o forse Fabrizio Barca da giovane. “E’ il boss della ’ndrangheta Antonio Nirta ed è la prova che nel gruppo di fuoco non c’erano solo brigatisti”, sostenne Fioroni. Quando gli fu fatto osservare che quel Nirta all’epoca aveva superato i 60 anni, imperturbabile controdedusse: “Allora deve trattarsi di un parente”, e si orientò su un nipote omonimo detto Nirta “doppia nasca”, due nasi, che era stato citato da un pentito di ’ndrangheta. Ora è arrivata la perizia del Ris. La foto del nipote confrontata col tipo fra la folla, dicono le tute bianche “non ha elementi di netta dissomiglianza”. Sulla base di una hegeliana doppia negazione, la farsa continua.

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