Marco Cappato accusato di aiuto al suicidio per la morte di Dj Fabo (foto LaPresse)

Imputazione coatta per Cappato: "Aiuto al suicidio di Dj Fabo"

Redazione

"Il processo – commenta l'esponente radicale su Facebook – sarà anche l'occasione per processare una legge ingiusta". Una rassegna fogliante con tutto quello che c'è da sapere sul caso

Il gip di Milano Luigi Gargiulo ha bocciato la richiesta di archiviazione inoltrata dalla procura meneghina nei confronti di Marco Cappato. Per il giudice l'esponente dei radicali va processato per il reato di “aiuto al suicidio” di Fabiano Antoniani (Dj Fabo) e ha imposto alla procura di formulare un'imputazione coatta, atto che precede una richiesta di rinvio a giudizio. Marco Cappato, si era autodenunciato per aver accompagnato in una clinica Svizzera Dj Fabo a sottoporsi a suicidio assistito. Era successo a fine febbraio, seguendo il protocollo elvetico, dove è legale l’eutanasia, al contrario dell’Italia.

  

Già nel 2015 Cappato aveva fatto lo stesso, autodenunciandosi a Roma per aver aiutato nel medesimo ultimo viaggio la militante radicale Dominique Velati. Non era accaduto nulla.

  

"È ufficiale: sarò processato per l'aiuto a Fabo - commenta l'esponente radicale su Facebook - così ha deciso oggi il giudice. Rispetto la decisione. Il processo sarà anche l'occasione per processare una legge ingiusta". 

Riprendiamo le parole del fondatore di questo quotidiano, Giuliano Ferrara, che sul caso di Fabiano Antoniani scriveva: “La sua tragedia resta nell’ambito della sfera privata della sua coscienza. Se non punisco uomini e donne che hanno preso decisioni abortive dalla notte dei tempi, ma non tollero che la depenalizzazione diventi codificazione di un diritto e agisco perché la notte dei tempi finisca e la modernità laica riconosca la libertà di nascere come problema e mobilitazione morale, è ovvio che non si deve punire chi accetti di eseguire i dettami della coscienza di Dj Fabo, che non è in grado di agire da solo con le sue forze. Ma anche qui, dove è in questione alla fine la privatezza di un comportamento cosciente, non accetto che la depenalizzazione debba diventare forzatamente la codificazione di un diritto e di una cultura eutanasica, nella forma del suicidio assistito per legge. C’è una zona grigia in cui lo stato deve astenersi: né punire né assolvere, lo stato non è una chiesa e non deve trasformarsi nello scudo legale di ditte che sul desiderio di morte costruiscono la loro fortuna ideologica e materiale. Di gente che sfrutta il desiderio per prosperare ce n’è tanta, ed è lecito nella società aperta, ma la morte non è un diritto da soddisfare né una merce, è un’occorrenza tragica che può essere in certe circostanze limitate realizzata su sé stessi senza che una legge di stato, un codice funesto, impedisca o autorizzi alcunché”. 

 

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