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Il problema di Saviano (e dei suoi lettori) spiegato con Giorgio Manganelli

Antonio Gurrado

“Noi siamo sempre tentati dalle idee. E le idee sono, come dire?, sono grasse. Non si passa per la cruna, non si tenta nemmeno il salto. Prova una dieta di nonsense”

È uscito il nuovo libro di Roberto Saviano, quindi mi sono precipitato in libreria a comprare un vecchio libro di Giorgio Manganelli – il suo più bello secondo Arbasino, il suo più bello secondo Anceschi – appena reso nuovo da una riedizione nella Biblioteca Adelphi. In “Discorso dell’ombra e dello stemma, o del lettore e dello scrittore considerati come dementi” trovo scritto che fuori dalla letteratura anzi prima della letteratura la realtà non esiste, tanto che “tutte le cose naturali sono sommamente innaturali ed esistono solo in quanto sono state adoperate come condimento di generi letterari”.

 

Il problema di Saviano, degli emuli di Saviano, dei seguaci di Saviano e più ancora dei lettori di Saviano, è credere che esista una realtà antecedente la letteratura, e che pertanto scopo dello scrivere sia determinarsi nella rincorsa a quella verità. Ciò zavorra la prosa di idee, e Saviano ne ha tante che esprime in ogni discorso corrucciato, in ogni pagina impegnata; ciò rilascia dell’acido lattico nelle giunture dello scrittore, tutto teso a dimostrare l’esistenza di ciò che avrebbe dovuto creare lui, ex nihilo; ciò trasforma il libero gioco delle parole nel ponderoso tentativo di giustificare la propria scrittura radicandola in un senso che si trova fuori dal libro, nel mondo del reale o nell’iperuranio del giusto e dell’ingiusto.

 

Scrive ancora Manganelli, ed era il 1982: “Noi siamo sempre tentati dalle idee. E le idee sono, come dire?, sono grasse. Non si passa per la cruna, non si tenta nemmeno il salto. Prova una dieta di nonsense”. La provasse anche Saviano, forse fra trent’anni i suoi libri saranno ancora ristampati, attuali.

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