Marcello Mastroianni e Stefania Sandrelli in una scena dal film Divorzio all'italiana di Pietro Germi del 1961

Un articolo degli anni Settanta spiega lo sfascio della famiglia nell'Italia di oggi

Antonio Gurrado

Rileggendo Peter Nichols s'intuisce la ragione della brama dissolutiva che allora condusse l'Italia verso questo punto: un protervo amore della completezza, dell'uniformità

“Finché gli ospedali non saranno adeguati e gestiti con efficienza; finché le garanzie delle libertà personali non avranno un contenuto più serio e la giustizia non sarà resa più economica e spedita; finché le prigioni non consentiranno di viverci in modo tollerabile senza aiuti dall'esterno; finché non si potrà fare a meno di una vasta rete di amicizie e relazioni nei tentativi di venire a capo della burocrazia e del sottogoverno, la solidarietà della famiglia continuerà ad avere importanza in Italia”. Così scriveva Peter Nichols, memorabile corrispondente da Roma per il Times. Erano gli anni Settanta, il periodo in cui con la legge sul divorzio iniziava lo smantellamento della famiglia, e le cose che non funzionavano ieri sono grossomodo le medesime che funzionano malaccio ancora oggi. Ora che sono passati quarant'anni e lo sfascio della famiglia – lo dicono i numeri, i fatti, il comune sentire – pare giunto a compimento, rileggendo Peter Nichols s'intuisce la ragione della brama dissolutiva che allora condusse l'Italia verso questo punto: un protervo amore della completezza, dell'uniformità. Far smettere di funzionare la famiglia era più comodo che iniziare a far funzionare la burocrazia, gli ospedali, le prigioni, la giustizia.

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