Paolo Ruffini (foto LaPresse)

Le parole sono importanti, spiegatelo a Boldrini invece di indignarvi per quelle di Ruffini

Antonio Gurrado

Il presidente della Camera ha dedicato la legge sul cyberbullismo alle vittime del cyberbullismo, la dimostrazione che si sta agendo, per quanto in modo sacrosanto, sull'onda dell'emotività

Valeria Fedeli dice di essersi tappata le orecchie mentre presenziava al lancio del “Manifesto per la comunicazione non ostile nelle scuole”: il progetto è finalizzato a sensibilizzare gli studenti contro il cyberbullismo ma il presentatore Paolo Ruffini, forse per coinvolgere il pubblico di giovani, ha inanellato in tre minuti un certo numero di parolacce. Del resto Ruffini ha spiegato che la vera volgarità non sono le parolacce ma la violenza, e che gli schiaffi sono più volgari dei vaffanculo.

 

Io invece mi sarei tappato le orecchie quando, oggi pomeriggio a Montecitorio, Laura Boldrini ha dedicato l'approvazione della legge sul cyberbullismo alle sue vittime. Dedicare una legge a qualcuno non è mai una buona idea poiché implica che si stia agendo, per quanto in modo sacrosanto, sull'onda dell'emotività; ciò espone facilmente a reazioni odiose che, radicandosi parimenti nell'emotività, pretendono per questo di essere altrettanto giustificabili. Lo Stato dovrebbe legiferare senza emozionarsi. Inoltre appare ipocrisia pelosa vantarsi della legge sul cyberbullismo nell'aula parlamentare in cui imperversano i rappresentanti di un partito-blog che ha nel proprio simbolo la V di vaffanculo. Quando quei vaffanculo saranno diventati schiaffi, allora sarà tardi per tappare alcunché.