Foto Jurgen via Flickr

La soluzione del problema della fame nel mondo? Distrarre gli affamati

Antonio Gurrado

In Svizzera c'è una “clinica del digiuno” che insegna a far passare il desiderio di cibo in secondo piano rispetto ad altri interessi. Purtroppo non mangiare costa, i poveri non possono permetterselo

Spiace ammetterlo di Venerdì Santo, ma nel digiuno sono talmente debole da faticare a praticarlo fra un pasto e l'altro. Per questo ho letto con ammirazione l'illuminante reportage di Jeanette Winterson che racconta ai lettori del Telegraph i benefici dell'avere trascorso otto giorni in una clinica del digiuno nelle Alpi Svizzere, la Buchinger Wilhelmi (per i più mondani, c'è anche una sede a Marbella). I vantaggi della terapia pare siano notevoli: a parte uno dei primi giorni in cui si piange disperati, dal quarto giorno in poi la chetosi fa abituare il corpo a nutrirsi delle risorse del corpo stesso e si sta benone. Laddove fallisco miseramente nel mio sforzo individuale, la Winterson s'è pasciuta del supporto collettivo di una struttura capillarmente organizzata al solo scopo di non farla mangiare, senza proibizioni di sorta bensì lasciando che il desiderio di cibo scivolasse in secondo piano rispetto a interessi ulteriori. Che si tratti di piscine o cineforum, questa clinica del digiuno svetta come dimostrazione del fatto che un'adeguata attenzione all'intrattenimento può impegnare l'uomo al punto da fargli obliare i bisogni primordiali. Sarebbe, a ben guardare, la soluzione all'annoso problema della fame nel mondo: anziché nutrire le popolazioni povere del pianeta, basterebbe distrarle. Fatto sta che i clienti della Buchinger Wilhelmi intanto sono fermissimi nell'astenersi dal cibo in quanto sono vincolati da un investimento ragguardevole, e digiunano a pagamento: per un mese di terapia ci vogliono 6800 euro, che diventano 9400 se si preferisce una stanza comoda. La triste verità è che non mangiare costa; purtroppo, i poveri non possono permetterselo.