Kate Dillon non si sente né maschio né femmina: agli  Emmy è “miglior attore” e “miglior attrice”?

Antonio Gurrado

La distinzione di genere, dal teatro al cinema, ormai non funziona più. La stella di "Billions" propone in pratica di tornare all'età Elisabettiana

Con grande scorno per chi fa una questione di vita o di morte dell'essere chiamata presidenta, o sindaca, o direttora, Asia Kate Dillon è un'attrice che vuol essere chiamata attore. Forse. In realtà la Dillon è un interprete non binario (ossia non s'identifica in nessun genere, pur appartenendo biologicamente a uno) di un personaggio non binario nella serie tv “Billions”. Ora che è tempo di Emmy Awards, la Dillon ha questionato il fatto che i premi prevedano solo due categorie divise per genere, e che quindi si debba essere per forza o miglior attore o miglior attrice senza via di mezzo. L'argomentazione della Dillon è corretta. Il riconoscimento viene identificato per mezzo di una parola (“attore” o “attrice”) che viene convenzionalmente associata a determinati individui ripartendoli in due categorie; fino al Seicento tuttavia la lingua inglese indicava genericamente come “attore” chi calcava le scene, indipendentemente dal suo essere maschio o femmina. Ciò dipendeva dal fatto che fino a poco prima il ruolo di attore era riservato solo ai maschi, per cui una volta accolte sul palcoscenico le femmine si iniziò a designarle con la medesima parola usata per i maschi.

 

In conseguenza di questa rimostranza, si potrebbe approfittare per unificare le categorie: ma a quel punto, se iniziassero a prevalere esponenti di un determinato genere, inevitabilmente sorgerebbe qualcuno a pretendere che venisse istituita una quota di vittorie assicurate per il genere opposto, se non addirittura un premio specifico per il genere trascurato. Non a caso qualche militante cinematografico in passato aveva rivendicato riconoscimenti dedicati a neri o a omosessuali, col coraggio di sentirsi paladino dei diritti anziché discriminatorio nell'isolare queste categorie come il peggior nazista. Va notato del resto che la Dillon, con la sua arguta considerazione filologica, vuole risalire al lungo periodo – fra l'antichità e l'età Elisabettiana – in cui i ruoli femminili dovevano avere interpreti maschili; e sottintende che per recitare in un genere non c'è bisogno di appartenere a quel genere, e che per questo la distinzione fra “miglior attore” e “miglior attrice” è un'etichetta superata. Giusto: pensate a Meryl Streep che fa il rabbino in “Angels in America” e decidete se meriti la palma di grande attrice o di grande attore. Non si capisce però allora come mai per il personaggio non binario in “Billions”, poi assegnato ad Asia Kate Dillon, la produzione abbia ammesso ai provini solo interpreti dichiaratamente non binari: a pensarci, è una discriminazione anche questa. Che fatica.