Proposta per regolare le lobby

Claudio Velardi
Che palle questa ennesima discussione sulle lobby, eterno emblema e foglia di fico dei presunti mali italiani. E che palle le iniziative per regolamentarne l’attività che poi falliscono miseramente, salvo partorire, in risposta a periodiche emergenze, abomini legislativi come il “traffico di influenze illecite”.

Al direttore - Che palle questa ennesima discussione sulle lobby, eterno emblema e foglia di fico dei presunti mali italiani. E che palle le iniziative per regolamentarne l'attività che poi falliscono miseramente, salvo partorire, in risposta a periodiche emergenze, abomini legislativi come il "traffico di influenze illecite". Il problema, sia chiaro, non è dei lobbisti veri: da tempo abbiamo fatto il callo ai titoli di giornale che descrivono "le lobby" come fonte primaria dei disastri nazionali, e il lavoro pulito non manca ai bravi professionisti. Che peraltro lo raccontano pubblicamente, come ha fatto nei mesi scorsi Antonio Iannamorelli, direttore di Reti, su ilrottamatore.it, in una settantina di post che spiegano per filo e per segno la lobby professionale e trasparente operata sulla madre di tutte le leggi, la cosiddetta Stabilità. Il punto è un altro, e prima o poi dovrà venir fuori. E' proprio sbagliato l'obiettivo di chi pensa di irregimentare, ingabbiare, demonizzare, punire le dannate lobby, come intendono fare paleo e neocensori parlamentari. Mentre bisogna fare esattamente il contrario, e cioè aprire finalmente il sistema ad una rinnovata ed efficace rappresentanza degli interessi, una volta saltata quella vecchia, per motivi più che noti.

 

Nel vecchio mondo la lobby era appannaggio di partiti, sindacati, associazioni datoriali e di categoria. In quel circolo chiuso si componevano i conflitti, si dettavano le priorità e si organizzavano le gerarchie degli interessi. Con i media schierati a fare da pura cassa di risonanza. E le truppe pronte a intervenire, in casi di necessità. Era semplice, il piccolo mondo antico del Novecento. Oggi le cose sono cambiate. L'universo della rappresentanza è meravigliosamente frazionato. I partiti sono personali, i sindacati pensionati, la Confindustria ininfluente, e il tavolone verde di Palazzo Chigi, dove le corporazioni più loffie vivevano il loro quarto d'ora di notorietà, è (definitivamente?) messo in soffitta. Oggi ognuno ambisce a rappresentarsi da sé, sacrosantemente. La grande azienda, con il suo solido responsabile delle relazioni istituzionali. L'agenzia di lobbying, dove professionisti di valore si muovono unicamente nell’interesse dei clienti e non del loro datore di lavoro. Gli “abusivi”, quelli che non fanno lobby per professione: presidiano un interesse, lo intermediano e ne ricavano utili, lavorando “a percentuale”, spesso bluffando, millantando conoscenze e aderenze. E poi i media, che fanno lobby in proprio. E la rete, dove gli interessi esplodono in una miriade di ingovernabili frammenti. Nel mondo nuovo si gioca un'altra, apertissima partita, dove tutto è lobby, possibilità, libertà e potere di espressione, comunicazione, condivisione. Lobby è postare, twittare e ritwittare, intercettare (ops) gli influencer, creare reti, costruire relazioni. Tutte attività difficilmente “recintabili”, cui ognuno può tranquillamente sfuggire. E ha facoltà di farlo. Se invece entriamo nei sacri confini delle istituzioni, e decidiamo di darci delle regole, allora bisogna che la regolamentazione sia sexy, altro che multe, divieti e misure coercitive. Registrarsi come lobbisti deve essere un label, un marchio di qualità. E chi ha un’istanza da rappresentare deve trovare conveniente affidare la sua pratica a un “registrato”. Si può fare con chiari meccanismi di premialità.

 

Chi si registra (tutti possono farlo, niente Ordini o nuove corporazioni) può telefonare a un ministro e poi a un suo cliente. Nessuno scandalo, tutto normale. Trasparente, certificato e garantito. Il registrato partecipa agli approfondimenti tecnici, ha a disposizione i testi dei provvedimenti, le bozze dei documenti. Dopo che li hanno avuti i politici, prima che diventino pubblici. Il registrato accede, con un tesserino personalizzato e riconoscibile, nei palazzi delle istituzioni, e ogni volta che usa il tesserino dichiara cosa è entrato a fare e perché. La registrazione contempla la dichiarazione degli interessi che si sostengono. Naturalmente in linea con normative sulla privacy e con le clausole di salvaguardia presenti nei contratti e nei regolamenti aziendali. Su queste basi si può costruire un vero patto di reciprocità: i lobbisti (e i loro clienti) consentono che si acceda al loro lavoro; le istituzioni consentono agli interessi e ai lobbisti di accedere al proprio. Con modalità certe e in tempo reale, con obbligo di consultazione, di esame e di risposta sui singoli dossier. I professionisti della lobby sono pronti per questa sfida: lo dico perché ne conosco tanti bravi e capaci. Le istituzioni (in particolare le burocrazie) non ancora. Per questo continuano a diffondere il timor panico delle "lobby".

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