Maria Giulia Sergio

Condannata Fatima, la prima islamista italiana pronta al jihad

Cristina Giudici

Nove anni decisi dalla corte d'Assise di Milano nei confronti della giovane che ha aderito al Califfato

La corte d'Assise di Milano ha condannato Giulia Maria Sergio, più nota come Fatima, a 9 anni di reclusione. E' la prima condanna in Italia per un foreign fighter tutt'ora in Siria. Fatima era a processo con altri imputati, tutti condannati. La sentenza più severa, la corte, l'ha riservata al marito di Fatima, Aldo Kobuzi, albanese, al quale sono stati inflitti 10 anni di carcere. Per la madre e la sorella di quest'ultimo, tutti ancora in Siria con Fatima, la Corte ha emesso una sentenza di 8 anni.Per la giovane ritenuta l'indottrinatrice di Fatima, Bushra Haik, è arrivata una condanna a 9 anni. Ultimo condannato, l'unico detenuto in Italia, è il padre di Fatima, Sergio Sergio, al quale sono andati 4 anni di reclusione. Riproponiamo di seguito un lungo articolo di Cristina Giudici dello scorso anno, che raccontava Fatima e la sua attrazione verso l'islam integralista.

 


  

Milano. Nelle intercettazioni video divulgate la settimana scorsa dopo l’arresto dei suoi familiari o nella conversazione via Skype pubblicata ieri dal Corriere della Sera, Maria Giulia Sergio, ribattezzata Fatima, sembra solo una giovane con un disturbo di personalità. Troppo fanatica e folle per risultare credibile, sembra quasi la parodia di se stessa. E invece l’unica italiana di cui conosciamo per ora l’identità a essere entrata nell’esercito dei foreign fighters è il prototipo dell’islam integralista, anche se nata e cresciuta in Italia. Oltre ad arrestare tre membri della famiglia Sergio ed emettere un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti del clan albanese Coku-Kacabuni-Kobuzi (mujaheddin e reclutatori che vivevano fra la Toscana e l’Albania), nelle carte dell’ordinanza della procura di Milano gli investigatori ricostruiscono una narrazione logica, se contestualizzata all’interno della galassia fondamentalista.

 

Quando Maria Giulia spiega alla sorella Marianna che è finito il tempo in cui i musulmani potevano vivere beati nella terra della miscredenza perché “adesso c’è il Khalifa, e ci sono obblighi personali nei confronti di Allah, Lode a Lui l’Altissimo, i mujaheddin lasciano casa, soldi, mogli, figli, e vengono qui a combattere, mujaheddin che hanno 15/16 anni che ammazzano 50 miscredenti…”, sta solo raccontando una parte della strategia dell’Is. Ossia quella di utilizzare i foreign fighters (e soprattutto le donne) come propagandisti, per fare pressioni sulle famiglie di origine rimaste in Europa. Dentro le parole ripetute ossessivamente da Maria Giulia (“Secondo te perché questi mujaheddin partono per il Jihad? Per i soldi? No, è per il paradiso… è per il paradiso… questo è l’amore che Allah l’Altissimo mette nel cuore: noi odiamo i miscredenti, non c’è nessuna amicizia fra noi e i miscredenti”), ci sono le lezioni ricevute in Italia sul Corano. Lezioni che poi la sorella di Maria Giulia, Marianna, ha  continuato a seguire, e tenute da Bushra Aik, una canadese di origine siriana nata e cresciuta a Bologna e poi emigrata nel 2012 in Arabia Saudita, a Riyadh. Da lì Bushra Aik organizzava diversi gruppi di studio per indottrinare gli italiani via Skype e convincerli a partire per la Siria. Fra i workshop, uno era riservato alle donne per insegnare loro a memorizzare le sure del Corano e aveva in Italia 290 iscritte, il cui compito era cercare nuove adepte attraverso una mailing list. Bushra spiega concetti semplici ma efficaci, che sono quelli poi trasmessi da Fatima al telefono alla famiglia per convincerli a partire.

 

“Sicuramente non è facile fare la Hijra (migrazione), se io vivo in una casa riscaldata con tutte le cose più comode del mondo”, spiega Bushra alle sorelle, “però noi sappiamo che ciò che conta è l’altra vita, non questa effimera, e quindi quando un musulmano fa una scelta per Allah, non lo abbandona mai e per questo chiediamo a Dio che ricompensi tutti i fratelli che stanno combattendo tutti i giorni, aumenti la loro fede e ci aiuti a raggiungerli”. Bushra consiglia ai suoi studenti un link, che contiene il phamplet di propaganda tradotto in italiano da un marocchino – ora agli arresti domiciliari: “Lo stato islamico, una realtà che ti vorrebbe comunicare”. Nel pamphlet viene descritta l’organizzazione, i servizi, il welfare del Califfato. E colpisce un episodio, riportato nelle indagini del pool antiterrorismo, sugli sforzi per dimostrare che il Corano non insegna il dialogo, ma, al contrario, mostra solamente la via per il jihad. Immaginatevi uno spoglio salotto di casa, a Melzo, altro comune alle porte di Milano. Due donne siedono davanti a un pc per conversare con la loro insegnate di shari’a, Bushra Aiq, e discutono con veemenza. Marianna, la sorella di Maria Giulia, cerca di convincere l’amica Dunia della liceità del jihad in Siria. Dunia esita, dice che nel Califfato si ammazzano innocenti e bambini, e Marianna la incalza: “Non sono musulmani, se lo Stato islamico uccide tutte queste persone è perché sono ipocriti, se tu ti allei coi miscredenti sei ipocrita, sei ateo. Se ti allei con i miscredenti non hai fede”. L’amica resiste e osserva: “Ammazzano ragazzi giovani, per me questa non è religione…”, e Marianna la minaccia: “Tu stai parlando come un infedele, non puoi, queste cose non fanno parte dell’islam”. Non si sa come è andata finire la faccenda fra loro o se l’arresto della sorella maggiore Marianna, che voleva partire anche per una delusione amorosa, ha salvato anche l’amica dall’Is, ma questo episodio è istruttivo per capire come si muovono, pensano, agiscono gli integralisti di casa nostra.

 

Dalle indagini sulla famiglia Sergio si scopre che adescamento, indottrinamento e radicalizzazione non avvengono esclusivamente nelle zone grigie del web: in questo caso il sodalizio italo-albanese è stato sancito nelle moschee italiane. Perché è la moschea al Tawheed di San Paolo D’Argon, in provincia di Bergamo, il luogo in cui Maria Giulia ha conosciuto un’albanese, Gjecaj Lubjana, di cui poi sarebbe diventata confidente e amica. E’ grazie a lei che Maria Giulia è riuscita a sposare Aldo Kobuzi, poi ribattezzato Said, per avere un marito pronto a combattere in Siria. Un matrimonio celebrato il 17 settembre del 2014 in un’altra moschea, a Treviglio, nella bassa bergamasca, dove Marianna aggancerà successivamente un’altra sorella italiana, “tornata” all’islam.

  

Gli inquirenti hanno seguito i passi degli sposi novelli, Maria Giulia alias Fatima e Aldo alias Said, entrambi desiderosi di diventare cittadini del Califfato fino in Turchia, dove li aspettava nel settembre scorso il “coordinatore dei volontari”. E anche una marocchina, Samira Yerou, che era scappata dalla Spagna, dove era stata smantellata la sua cellula per cui aveva iniziato a reclutare combattenti da inviare in Siria. E’ così che si scopre un altro fatto inedito: il ruolo attivo delle donne dell’Is. Fatima infatti, che sogna di immolarsi, in Siria ha già imparato a sparare ed è un prototipo, per quanto la sua mente sia e possa sembrare obnubilata, dell’islam integralista, che vive e cresce in Italia.  

 


 

Questo articolo è stato pubblicato nel Foglio dell'8 Luglio 2015