La diseguaglianza spopola a Davos. Ma ecco altri errori di Piketty e Oxfam

Luciano Capone

Il tema della diseguaglianza è al centro del dibattito globale, se ne discuterà anche al World economic forum appena iniziato a Davos. L’annuale appuntamento nella cittadina svizzera che riunisce i leader della politica e dell’economia per discutere dei problemi globali è stato anticipato da un allarmante rapporto di Oxfam.

Milano. Il tema della diseguaglianza è al centro del dibattito globale, se ne discuterà anche al World economic forum appena iniziato a Davos. L’annuale appuntamento nella cittadina svizzera che riunisce i leader della politica e dell’economia per discutere dei problemi globali è stato anticipato da un allarmante rapporto della organizzazione non governativa (ong) britannica Oxfam: dal 2016, l’1 per cento della popolazione mondiale sarà più ricco del restante 99 per cento. E il tema della diseguaglianza è anche nell’agenda di Barack Obama, che nel discorso sullo stato dell’Unione ha sposato la linea Piketty, quella dell’economista francese di tassare i super ricchi per redistribuire le risorse in maniera più equa.

 

Non c’è alcun dubbio che il libro dell’anno, almeno per lo scaffale di economia, sia stato proprio il “Capitale nel Ventunesimo secolo” di Thomas Piketty che affronta il tema della diseguaglianza. Il successo lo ha fatto diventare una “rock star”, come l’ha definito il Financial Times. Due Nobel di sinistra come Joseph Stiglitz e Paul Krugman hanno definito l’opera di Piketty “il più importante libro di economia del decennio”, ma anche economisti che contestano le tesi di Piketty come Greg Mankiw hanno apprezzato il libro per la mole di dati analizzati. E’ sulla base dei freddi numeri che l’economista francese ha scoperto una “ferrea legge del capitalismo” che porta inevitabilmente all’aumento della diseguaglianza: il capitale cresce più dell’economia e di questo passo il mondo si troverà nelle stesse condizioni di diseguaglianza del 1800, quando per avere successo contavano solo i patrimoni e i matrimoni. Per risolvere questo problema per Piketty c’è solo una via: tartassare i ricchi e redistribuire.

 

Ma c’è chi si è armato di santa pazienza e ha trovato nel libro dell’anno tanti errori fattuali, storici, metodologie opache, scelte arbitrarie nella compilazione dei grafici e dati manipolati. Lo studio è di due economisti americani, Phillip Magness della George Mason University e Robert Murphy dell’Institute for Energy Research, ed è stato pubblicato sul Journal of Private Enterprise. Tutti gli errori di Piketty hanno una sola cosa in comune, vanno sempre a supporto della propria tesi: depurati da queste inesattezze, i dati non mostrano le evidenze e le tendenze che per l’economista francese sono legge. Per far capire quanto il lavoro di Piketty sia tarato ideologicamente Magness e Murphy partono da alcune bugie. Per dimostrare che la destra repubblicana e pro mercato crei diseguaglianze, Piketty scrive che gli Stati Uniti uscirono dalla Grande depressione solo grazie al democratico Franklin Delano Roosevelt che alzò le tasse sui ricchi, “che erano state abbassate al 25 per cento sotto la disastrosa presidenza di Hoover”. Il fatto non è vero, perché fu Hoover ad alzare l’aliquota dal 25 al 63 per cento nel 1932. Stesso errore per quanto riguarda il salario minimo: Piketty scrive che i repubblicani Bush padre e figlio hanno bloccato il salario minimo federale impoverendo le classi lavoratrici, mentre i democratici Clinton e Obama lo hanno alzato riducendo le diseguaglianze. In realtà è facilmente verificabile che i due Bush hanno alzato il salario minimo più di Clinton e Obama. Queste inesattezze mostrano secondo Magness e Murphy l’intenzione di Piketty di piegare i fatti alla propria visione del mondo. Ma le accuse più gravi non sono queste, bensì alcune operazioni “strane” nell’uso dei dati. I due economisti notano che in alcune celle Excel vengono aggiunti e sottratti numeri a caso e che viene usata una “bizzarra tecnica creativa per calcolare la media”. La manipolazione più clamorosa riguarda un grafico sulla diseguaglianza della ricchezza negli Stati Uniti dal 1910 al 2010. Secondo la spiegazione di Piketty questa curva a “U” dimostra che la diseguaglianza, calata con le due guerre mondiali e il forte intervento dello stato, è poi esplosa di nuovo a partire dagli anni 80, quelli del neoliberismo di Ronald Reagan. Magness e Murphy sono andati a spulciare i dati e hanno notato che l’economista francese mette sullo stesso grafico fonti molto diverse: dal 1910 al 1950 usa i dati di uno studio, per i decenni successivi quelli di un altro, poi di nuovo quello di prima, poi un altro e un altro ancora. Il risultato è un “grafico Frankenstein assemblato con pezzi di letteratura secondaria che sembrano aggiunti o rimossi in base alla tendenza che desidera mostrare”. In pratica Piketty fa cherry-picking, si sceglie i dati che gli fanno comodo. Per far capire quanto questa tecnica possa essere distorsiva, Magness ha pubblicato un grafico Piketty-style utilizzando le stesse fonti ma scegliendo i pezzi di dati che dimostrano la tesi opposta: il risultato è un altro “grafico Frankenstein” in cui la diseguaglianza cala dagli anni di Reagan in poi. La demolizione dello studio riguarda anche un altro importante grafico, quello del rapporto del capitale sul reddito, in cui Piketty inserisce dati del tutto arbitrari che hanno sempre lo scopo di segnalare l’aumento della diseguaglianza.

 

[**Video_box_2**]E a ben guardare è ciò che fa da anni Oxfam (in maniera più rozza di Piketty) con il suo inquietante rapporto sulla diseguaglianza presentato per il forum di Davos e che è sui giornali di tutto il mondo. Come ha spiegato Felix Salmon di Reuters, Oxfam non fa altro che riutilizzare i dati di Credit Suisse che però riguardano la ricchezza netta, ovvero gli attivi meno i debiti. Ciò vuol dire che tra i più poveri del mondo ci sono tutti quelli che hanno fatto debiti per investimenti. E infatti secondo i dati della ong non c’è nessun cinese nell’ultimo 10 per cento della distribuzione della ricchezza globale, perché centinaia di milioni di cinesi pur essendo poveri non hanno debiti. Mentre quello stesso decile che raccoglie i più poveri tra i poveri è composto per oltre il 20 per cento da europei e statunitensi (gli africani sono il 30 per cento). Tanto per capirci, secondo lo studio Oxfam-style i più poveri del mondo non sarebbero bambini che muoiono di fame in Africa o che cuciono palloni in Pakistan, ma squali della finanza come Bernie Madoff o Jérôme Kerviel che hanno fatto miliardi di debiti. Quest’anno la direttrice esecutiva di Oxfam, Winnie Byanyima, è co-chair del World economic forum e con la forza di questi numeri da Davos farà la sua lezione sulla lotta alla diseguaglianza e all’1 per cento dei ricchi.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali