Pier Carlo Padoan (foto LaPresse)

Ventaccio europeo su Renzi

Padoan al Foglio: perché fare di più non si può

Pier Carlo Padoan

Manovra ed Europa. Il ministro dell’Economia risponde al Foglio sull’invocazione di “radicalità”. E spiega quali sono gli ingredienti che il governo intende usare per portare l'Italia fuori dall'economia stagnante.

La “critica per deficit di radicalità alla manovra Renzi-Padoan non sembra una gufata qualsiasi, sembra un problema: sarebbe bene che il governo su questo comunicasse il suo punto di vista, spiegasse come replica alla critica, e ci mettesse tutti in grado di capire meglio, rosiconi e ideologi a parte, dove si va a parare”. Così ieri scrivevamo sul Foglio, dopo aver raccolto negli scorsi giorni su queste colonne punti di vista e proposte – questi sì radicali – per reinnescare lo sviluppo nel nostro paese. Da Carlo De Benedetti, con la sua idea di un deficit da far salire al 6 per cento in modo da poter abbassare le tasse, alla più istituzionale Istat che stima effetti sviluppisti nulli della legge di stabilità renziana. Passando per quanti avrebbero gradito un approccio più combattivo nei confronti di Bruxelles e dei suoi parametri che c’imbrigliano. In questa pagina ospitiamo altre opinioni sul punto. E oggi il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, ci dice come la pensa.

 

Il bilancio per il 2015 riflette una valutazione strategica degli obiettivi del paese e dei vincoli interni e internazionali a cui esso è soggetto, non diversamente da un bilancio aziendale che non ha senso al di fuori di un business plan strategico. E il piano strategico è quello di tirare il paese fuori dalle secche di una crisi di durata eccezionale, resa più grave che altrove da ostacoli strutturali all’adattamento e all’innovazione che si sono cumulati e sedimentati in due decenni di inerzia politico-istituzionale, caratterizzata dalla micidiale combinazione di un debito pubblico enorme e di una crescita declinante, da una produttività stagnante non più compensata dalla svalutazione del cambio, da una disoccupazione crescente e da tassi di inflazione  straordinariamente bassi e calanti.

 

Si è detto dei condizionamenti interni. Non meno severi sono oggi quelli esterni legati alla dinamica della domanda mondiale che vede gli Stati Uniti alle prese con la fine del Quantitative easing (Qe) e il Giappone con nuovi tentativi di rianimazione della domanda interna, in cui i paesi emergenti crescono a tassi più contenuti del passato e l’Europa è a un passo dalla deflazione. In tale ambito, quando le prospettive si fanno meno chiare e le aspettative più incerte, il nervosismo e l’instabilità dei mercati diviene un’ulteriore fonte di incertezza e un ostacolo alla definizione di piani economici di più lungo periodo.

 

In questo contesto si colloca la definizione del piano di bilancio per il 2015. Non è difficile vedere come l’obiettivo di riportare il paese su un sentiero di crescita sia oggi di complessa realizzazione: come esso richieda coraggio, prudenza, realismo. La legge di stabilità è una combinazione di questi tre ingredienti.

 

Il coraggio è ben evidente nella scelta di ridurre in modo significativo le tasse, finalizzando questo intervento alla creazione di occupazione stabile (la cancellazione totale della componente dell’Irap calcolata sul lavoro), e di finanziare le riforme strutturali, a cominciare dagli ammortizzatori sociali che devono accompagnare la riforma del mercato del lavoro, con tagli delle spese che modificano usi consolidati.

 

[**Video_box_2**]La prudenza è data dalla nostra capacità di tenere i conti sotto controllo e per questa via rassicurare i mercati sulla capacità e sulla volontà del paese di mettere riparo ai danni del passato. Il realismo si riflette nel perseguimento contestuale di più obiettivi – i tre pilastri alla base della strategia di ripresa economica – destinati a rafforzarsi reciprocamente: il consolidamento fiscale favorevole alla crescita e da attuarsi con una ricomposizione delle voci di bilancio; la ripresa degli investimenti attraverso la semplificazione amministrativa, gli incentivi fiscali e il rafforzamento delle fonti di finanziamento; le riforme strutturali destinate a facilitare lo spostamento del capitale e del lavoro verso i settori più produttivi e le occupazioni più redditizie attraverso il contrasto e la cancellazione delle posizioni di rendita.

 

Le critiche, ad esempio in tema di investimenti, sembrano ignorare che la politica economica del governo non si esaurisce nella legge di stabilità. Con il decreto legge “sblocca Italia” sono state mobilitate le risorse pubbliche disponibili su opere e interventi immediatamente cantierabili, mentre con il decreto legge competitività è stato modificato il quadro normativo per aprire nuovi canali di finanziamento alle imprese alternativi a quello bancario.

 

Nel corso del 2015 metteremo in campo altri provvedimenti, mentre la progressiva attuazione delle riforme strutturali migliorerà il business environment, rafforzando gli incentivi agli investimenti che vengono dalla riduzione delle tasse e dalle altre misure specifiche (dal rafforzamento patrimoniale delle imprese al credito d’imposta per la ricerca e lo sviluppo).

 

I tre ingredienti – coraggio, prudenza e realismo – si possono mescolare anche diversamente e in dosi variabili ma la loro presenza contestuale si rende necessaria per evitare salti nel buio e assicurare la più ampia condivisione di questa strategia nel paese e sui mercati al tempo stesso.

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