Elogio di Tyson, archetipo di denti e ferocia

Marco Archetti

“Holyfield non è il guerriero che tutti credono sia. Si è preso un piccolo morso e ha mollato. Io sono ridotto con un occhio solo, lui non ha niente di grave".

“Holyfield non è il guerriero che tutti credono sia. Si è preso un piccolo morso e ha mollato. Io sono ridotto con un occhio solo, lui non ha niente di grave. Gli ho ferito un orecchio, lui mi ha chiuso un occhio. Ma se me ne toglie uno ne ho sempre un altro: sono pronto a combattere. Lui non voleva battersi, io sono pronto anche adesso”. Las Vegas, 28 giugno 1997. Questa è la dichiarazione che frigge in bocca a Mike Tyson a fine match. Colpito da numerose testate che l’arbitro non vide, l’uomo più cattivo del mondo dimostrò di esserlo ancora. Andò così: nel secondo round una craniata dell’avversario gli procurò una ferita sull’occhio. Alla terza ripresa, deciso più che mai a dare battaglia – si alzò dall’angolo senza aver indossato il paradenti – Tyson mancò l’avversario con un gancio destro e, a seguire, con un portentoso sinistro che pettinò l’aria vuota. Frustrato, legò Evander. Accucciò la testa sul suo collo e, tempo due secondi, Holyfield si sgarbugliò dalle sue braccia in pieno moto isterico, ballando la tarantella a tutto ring. Finì in rissa. Diciassette anni dopo, a Natal, all’ottantesimo di Italia-Uruguay, Giorgio Chiellini corre verso l’arbitro, occhi come tuorli spadellati sulla faccia, abbassando la maglietta e mostrando la spalla sinistra. Suárez l’ha morso. Inammissibile. Pazzesco. Non si morde, signora mia. E poi il regolamento, eccetera. Tutto vero, sì. Ma il mito? Ma l’epopea? Non erano guerrieri? Non erano opliti? Non erano undici Pausania? La storia trabocca di memorabili gesta o di memorabili doléances? Tamerlano minacciò il mondo intero, mise a ferro e fuoco Baghdad e diventò zoppo in battaglia. L’eroe è così, soffre perché sa soffrire. Anzi, l’eroe è un manuale di sofferenza, e più soffre, più furoreggia. Ha un cuore che va a orgoglio e soprattutto (nel pugilato è comandamento) soffre non mostrando l’umano soffrire. Perché il dolore è intimo, sacro. Il dolore ci scopre e ci denuda, e il dolore esibito ti sbatte fuori dal mito: Holyfield che saltella per il ring come una ballerina, la scritta “Warrior” sui pantaloncini, è la rottura di un incanto drammaturgico. Chiellini che abbassa la spallina, vagamente discinto, improvvisamente infragilito, è il gesto incongruo che capovolge il romanzo, l’immagine di una resa vergognosa perché piagnucolante. Per inciso: Tyson, dopo sedici anni, l’orecchio l’ha restituito. In uno spot pubblicitario. Lo si vede suonare a villa Holyfield e, contrito come un chierico, ridarglielo impacchettato.