Il sogno europeo sta finendo. Ma come svegliarsi è un problema

Paolo Savona

Un libro come quello pubblicato da François Heisbourg sulla fine del sogno europeo (“La fin du rêve européen”, Editions Stock, Parigi 2013), sul quale Marco Valerio Lo Prete si è già soffermato su queste stesse colonne, merita di non cadere nell'oblio. Il lavoro si dilunga su come uscire dall'euro con i minori danni possibili per salvare il resto dell'Unione europea e, se fosse scritto da un italiano, sarebbe sommerso dalle critiche, come minimo, di incosciente euroscetticismo e, come massimo, di incompetente eurodisfattista.

    Un libro come quello pubblicato da François Heisbourg sulla fine del sogno europeo (“La fin du rêve européen”, Editions Stock, Parigi 2013), sul quale Marco Valerio Lo Prete si è già soffermato su queste stesse colonne, merita di non cadere nell’oblio. Il lavoro si dilunga su come uscire dall’euro con i minori danni possibili per salvare il resto dell’Unione europea e, se fosse scritto da un italiano, sarebbe sommerso dalle critiche, come minimo, di incosciente euroscetticismo e, come massimo, di incompetente eurodisfattista. Heisbourg è cosciente di ciò, e lo dice espressamente, ma si limita a precisare che lui “dopo essere caduto fin da giovane nella padella di Monnet” restando affascinato dal sogno europeo federalista, non ha smesso di essere favorevole, nonostante quanto accaduto e accade, all’idea di completare l’Unione europea sul piano politico; ma si è reso anche conto che, per preservarla da disastri, si deve porre fine contestualmente all’euro e tornare alle monete nazionali. L’autore è consigliere speciale della Fondation pour la recherche stratégique di Parigi, presidente dell’International Institute for Strategic Studies di Londra e anche del Centre politique de sécurité di Ginevra. Non è quindi una persona qualsiasi e quanto dice non è certo frutto delle riflessioni di uno sprovveduto.

    L’operazione da fare “à froid”
    Nella sua diagnosi, parte dall’osservazione che l’Unione economica europea è sopravvissuta abbastanza bene per quarant’anni senza l’euro ed è entrata in crisi con la creazione della moneta unica; pertanto, occorre convincersi che le due non sono istituzioni siamesi e vanno trattate separatamente per riportare la sopravvivenza del mercato comune europeo a livello di obiettivo politico primario. Il crollo dell’euro sotto la spinta della speculazione di mercato o dell’irruenza di alcune frange politiche in giro per l’Europa, da Beppe Grillo in Italia a Marine Le Pen in Francia, sarebbe un disastro. Essa va fatta à froid e in modo consensuale; come ogni intervento chirurgico presenta i suoi rischi, ma questi sono in ogni caso inferiori a quelli che si corrono nel perseguire politiche che conducono l’Europa alla disgregazione di ciò che di buono ha costruito nel tempo. Elogia perciò il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, per aver contrastato la fine à chaud quando, sia pure in ritardo (il 12 luglio 2012), disse che avrebbe fatto tutto ciò che era necessario e il mercato gli ha creduto; ma tutto ciò che ha fatto e che può fare non è sufficiente per mettere l’Ue sul sentiero dello sviluppo dal quale ha deviato e, soprattutto, per recuperare nei cittadini europei la fiducia sul futuro dell’Unione. Non vanno condannate indistintamente unione economica e unione monetaria perché solo la prima merita d’essere protetta e la politica di Draghi non può correggere i vincoli delle strutture istituzionali europee entro cui opera.

    Disimpegno americano ed espansione cinese
    Heisbourg afferma che tutto il mondo ha ripreso a crescere, ma non l’Europa. La crisi del 2008 ha colpito tutti i paesi in modo uniforme, l’uscita ha invece caratteri difformi tra le grandi aree geopolitiche e all’interno dell’Ue. Senza una crescita diffusa, permarranno le divisioni interne europee e l’Unione entrerà in crisi irreversibile proprio nel momento in cui deve svolgere unitariamente – e a questo punto pesa nel giudizio la professionalità dell’autore – un ruolo incisivo per contenere il disimpegno americano per la sicurezza, l’espansione della Cina come potere mondiale, le ambizioni russe di estendere la propria influenza sull’Europa e il medio oriente, le nuove incertezze create dalle “primavere arabe” e altre “agitazioni” sparse per il mondo. Disfiamoci quindi, egli dice, della palla al piede di una moneta mal costruita e non necessaria in questa forma, ritornando ad accordi come il serpente monetario (la fluttuazione tra monete nazionali entro una banda di oscillazione prefissata) o una stretta coordinazione tra politiche economiche, monetarie e sociali all’interno del mercato comune. Ossia un ritorno alla linea originaria affermatasi con i Trattati di Roma del 1957, cioè fare un passo indietro per farne uno in avanti o, secondo il titolo del capitolo più importante di questo lavoro, per passare Du rêve à la réalité, dal sogno alla realtà. Heisbourg dice “svegliati Europa” prima che sia troppo tardi!

    “Si può fare?”, si domanda Heisbourg. “La vera difficoltà sarà politica, sia sull’opportunità di porre fine all’euro che sulle prospettive del dopo euro. Queste due questioni sono da lui considerate non dissociabili. La fine dell’euro non sarà un’eventualità possibile se non ci fosse inizialmente un accordo tra Berlino e Parigi sul quale mettere insieme ciò che verrà in seguito. La scelta di mettere la coppia franco-tedesca al centro dell’iniziativa non è – dice – frutto di un ritorno di nostalgia. Semplicemente sarebbe una catastrofe per la Germania (e l’Europa) se la facesse da sola e si rendesse responsabile della fine dell’euro. Parimenti sarebbe troppo domandare ai paesi periferici d’assumersi questa responsabilità dopo aver patito tanti sacrifici. Infine, affinché l’operazione riesca, meglio evitare l’allargamento della cerchia dei decisori iniziali. Questa scelta va quindi ricondotta, per necessità e non solamente per piacere, al binomio Parigi-Berlino”. Qualora si intenda passare du rêve à la réalité si può anche sorvolare su questa preferenza resa in modo così netto, che peraltro aleggia sull’intero lavoro, soprattutto quando considera la Francia un paese con molti problemi, ma non a livello di quelli che hanno l’Italia e gli altri “periferici”. Non è certo un bel modo di esprimere il forte desiderio di un’Europa capace di presentarsi unita nelle nuove difficili condizioni geopolitiche. Perciò nel considerare opportuna e utile una disamina così aperta e incisiva del problema dell’euro e del futuro del mercato unico condotta da François Heisbourg, lo è altrettanto sollevare dubbi sul modo in cui egli intende i rapporti di forza all’interno dell’Unione europea, di quella unione che rende l’euro insostenibile. E’ proprio la pretesa di un’egemonia tedesca sulle scelte europee, appoggiata dal rapporto “privilegiato” con la Francia, che non consente di adeguare istituzioni e politiche alla réalité e le conduce alla fin du rêve.