Sorpresa, la Teologia della liberazione non è più una grave eresia

Matteo Matzuzzi

Papa Francesco ha ricevuto in udienza Gustavo Gutiérrez, teologo peruviano e padre della Teologia della liberazione. Un incontro cui ha lavorato a lungo il prefetto della congregazione per la Dottrina della fede, il tedesco Gerhard Ludwig Müller. Questo incontro certificha almeno simbolicamente la fine delle guerre teologiche del passato sorte e sviluppatesi nel tormento del post Concilio. Qualche giorno fa, sull’Osservatore Romano padre Ugo Sartorio (direttore del Messaggero di Sant’Antonio), scriveva che “con un Papa latinoamericano, la Teologia della liberazione non poteva rimanere a lungo nel cono d’ombra nel quale è stata relegata da alcuni anni, almeno in Europa”.

Ferrara Relativismus

    Papa Francesco ha ricevuto in udienza Gustavo Gutiérrez, teologo peruviano e padre della Teologia della liberazione. Un incontro cui ha lavorato a lungo il prefetto della congregazione per la Dottrina della fede, il tedesco Gerhard Ludwig Müller. Questo incontro certifica almeno simbolicamente la fine delle guerre teologiche del passato sorte e sviluppatesi nel tormento del post Concilio. Qualche giorno fa, sull’Osservatore Romano – che alla completa riabilitazione della corrente di pensiero dei Gutiérrez e dei Boff sta dedicando ampio spazio, con estratti di libri, interviste e commenti – padre Ugo Sartorio (direttore del Messaggero di Sant’Antonio), scriveva che “con un Papa latinoamericano, la Teologia della liberazione non poteva rimanere a lungo nel cono d’ombra nel quale è stata relegata da alcuni anni, almeno in Europa”. Per l’esattezza, da circa un trentennio: da quando cioè l’ex Sant’Uffizio di Joseph Ratzinger emanò le due istruzioni Libertatis nuntius (1984) e Libertatis conscientia (1986) che assestarono un colpo pressoché definitivo a quel filone di pensiero, almeno nella sua deriva marxista.

    Gutiérrez, domenicano, è il padre di quel movimento teologico che non è mai stato un fenomeno unitario, ma che è stato percorso da varie correnti diversificate e spesso contraddittorie. C’era sì la vocazione terzomondista, la dedizione totale ai poveri delle campagne e delle periferie, ma anche la lotta armata e preti rivoluzionari come quell’Ernesto Cardenal diventato ministro del governo sandinista nicaraguense e passato alla storia per la ramanzina che gli fece, lui inginocchiato all’aeroporto di Managua, un furibondo Wojtyla col dito alzato.
    Il fatto è, ha spiegato Gutiérrez nell’edizione di ieri del quotidiano della Santa Sede, che “questi testi non sono stati letti bene. Nella prima istruzione si afferma che successivamente sarebbe stato elaborato un documento più positivo”. Un modo per dire, aggiunge, “che quello era un testo negativo, che guardava unicamente agli errori”. Un documento che però non ha mai visto la luce. Concorda, il prefetto Müller, che pochi mesi prima di essere nominato quale successore del cardinale William Joseph Levada alla Dottrina della fede, ricordò in un’intervista a un giornale tedesco che lo stesso Ratzinger aveva sottolineato non solo i pericoli delle deviazioni dalla dottrina, ma anche i “princìpi positivi” presenti nella Teologia della liberazione. Certo, dice Gutiérrez, nella Libertatis nuntius si parla di quel movimento teologico “in modo troppo generico. La Teologia della liberazione è fatta di nomi e di persone, non di idee staccate dal loro contesto”. Comunque sia, aggiunge, discutere di questo non ha più senso: “Oggi la Teologia della liberazione è più conosciuta e quindi più apprezzata di ieri”. Dopotutto, il cardinale João Braz de Aviz, brasiliano e sensibile ai venti della liberazione, chiamato da Benedetto XVI a guidare la congregazione degli Istituti di vita consacrata pochi anni fa, l’aveva detto: “La Teologia della liberazione non è solo utile, ma anche necessaria, perché ha permesso di scoprire l’opzione preferenziale per i poveri”. Un messaggio che il Papa argentino ha elaborato nella cifra più significativa di questo primo scorcio di pontificato.

    Il doppio pregiudizio
    Ma auspicare “una chiesa povera per i poveri” non significa schierarsi tra i sostenitori di quel movimento di pensiero. Tutt’altro. Bergoglio parlò di “correnti di pensiero sprofondate nello sconcerto dopo il crollo dell’impero totalitario del socialismo reale”, denunciando l’elemento marxista peraltro già condannato dalla chiesa. Chiarissimo era stato, a tal proposito, Giovanni Paolo II il 28 gennaio 1979, intervenendo alla conferenza generale dell’episcopato latinoamericano a Puebla, in Messico: “La concezione di Cristo come politico, rivoluzionario, come il sovversivo di Nazaret, non si compagina con la catechesi della chiesa”. Una stroncatura che per Leonardo Boff – nonostante abbia abbandonato il saio e sia felicemente sposato dice di “sentirsi francescano nello spirito” – è figlia di due pontificati “che sono stati caratterizzati da un ritorno alla grande disciplina e dal controllo delle dottrine”. Insomma, una strategia che ha dato luogo “a una specie di inverno che ha congelato molte iniziative”, scriveva a luglio sul Manifesto, in una delle sue numerose interviste seguite alla rinuncia del Pontefice tedesco da lui definito “doganiere della fede”. La teologia della liberazione, aggiungeva Sartorio sull’Osservatore Romano, è stata vittima di “un doppio pregiudizio”. Da una parte, “quello che non ha ancora metabolizzato la fase conflittuale della metà degli anni Ottanta, e ne fa una vittima del Magistero romano”. Dall’altra, il “rifiuto di una teologia ritenuta troppo di sinistra e quindi tendenziosa”.

    La teologia del popolo di Francesco
    Per Gerhard Müller – la cui nomina non ricevette in curia un’accoglienza benevola da parte di tutti, proprio per la sua vicinanza agli ambienti latinoamericani presidiati da Gutiérrez – “con la Teologia della liberazione la chiesa cattolica ha potuto ulteriormente accrescere il pluralismo al suo interno”. E questo perché “la teologia dell’America latina svela e propone oggi nuovi aspetti  che integrano una prospettiva europea spesso incrostata”. Ciò non significa, come pure qualcuno  teme, che per l’ex arcivescovo di Ratisbona e ora custode dell’ortodossia (nonché curatore dell’opera omnia teologica di Benedetto XVI) ci sia alcun passo indietro, alcun ripensamento circa la denuncia delle “gravi deviazioni ideologiche” sottolineate a suo tempo da Ratzinger. Semmai, la consapevolezza che è giunto il momento di guardare a quel movimento come “a una nuova comprensione della teologia”. Troppo in fretta, fa intendere il prelato tedesco, la Teologia della liberazione è stata data per morta, archiviata, circoscritta a quella turbolenta fase post conciliare. Anzi, chiarisce Gutiérrez, “è giovane, aperta a cambiamenti e sfide, piena di risorse” e “non ha perso di mordente, non fosse altro per il fatto che il tema della povertà è sempre lì, sempre più urgente”. Naturale, dunque, che ritrovasse vigore con il Papa sudamericano che agli ultimi sta dedicando la sua missione. Ma più che una Teologia della liberazione, quella di Bergoglio è teologia del popolo, dove non trovano posto richiami alla lotta di classe, alla teoria della dipendenza, al peccato strutturale e sociale. La sua è una lettura meramente evangelica.

    Ferrara Relativismus

    • Matteo Matzuzzi
    • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.