La lirica sotto l'ombrellone

Giuseppe Pennisi

Per toccare con mano le nuove tendenze del teatro d'opera non si possono mancare due festival estivi: Aix-en-Provence e Salisburgo. Si svolgono a luglio e agosto, propongono regie moderne, attualizzando le vicende ambientate da librettisti e compositori in tempi lontani, utilizzando abilmente il sistema delle coproduzioni e attirando artisti di rango.

    Per toccare con mano le nuove tendenze del teatro d'opera non si possono mancare due festival estivi: Aix-en-Provence e Salisburgo. Si svolgono a luglio e agosto, propongono regie moderne, attualizzando le vicende ambientate da librettisti e compositori in tempi lontani, utilizzando abilmente il sistema delle coproduzioni e attirando artisti di rango.

    Iniziamo dal Festival di Aix (5-15 luglio) che nasce con una vocazione “mozartiana”, poco rappresentato oltralpe sino alla seconda metà del Novecento, quasi sempre inaugurato da un nuovo allestimento di una delle 22 opere del salisburghese. Quest'anno sono in cartellone sei opere, tra cui “Aci e Galatea” di Haendel, coprodotta con La Fenice, sarà presto a Venezia, e “Austeritz” di Combier è un lavoro per bambini che verrà presentato negli ultimi due giorni del Festival ed è destinato principalmente al pubblico francese.

    Nel 2011 si è rotta la tradizione mozartiane e l'inaugurazione è stata affidata alla Prima mondiale di “Thanks to My Eyes”, un'opera del milanese Oscar Bianchi (36 anni), poco noto in Italia, ma molto applaudito all'estero. Bianchi, che ha studiato al Conservatorio Verdi di Milano prima di completare la propria formazione all'IRCAM di Parigi e alla Columbia University, è alla sua prima opera per il teatro. “Thanks to My Eyes” non si fermerà a Aix: a marzo 2012 sarà in due teatri della regione parigina, ad aprile alla Monnaie di Bruxelles, a maggio a Lisbona e a giugno a Madrid. Si parla già di una possibile trasferta negli Stati Uniti. E' un segnale importante al nostro paese; anche i musicisti (non solo gli economisti ed i manager) hanno all'estero quel successo spesso non riconosciuto in una patria che premia le cooptazioni parentali, amicali e di cordata. L'opera, molto più breve della pièce teatrale, è imperniata sul rapporto di un padre-padrone con il figlio. Sempre in bilico tra simbolismo e impressionismo, con un'orchestra di 12 elementi (che hanno la sonorità do 30), quattro cantanti e due voci recitanti, i 24 quadri scorrono agevolmente (in un'ora e mezzo senza intervallo) grazie ad una scena fissa di fiordi nordici, giochi di luce e grande attenzione alla recitazione. La scrittura orchestrale e vocale di Bianchi, pur mantenendo alcune convenzioni dell'opera tradizionale (ci sono, ad esempio, due duetti, alcuni ariosi e pure una “scena della pazzia”) è interessante: molto timbrica quella orchestrale (12 strumenti) ma al tempo stesso intrisa di melanconia.

    Le voci seguono le convenzioni: il padre è un basso (Brian Bannatyne-Scott), le due donne (Karen Motseri e Fflur Wyn) due soprano lirici (una con agilità e coloratura), ma per Aymar Bianch scava nella vocalità seicentesca e porta un controtenore in grado sia di ascendere a tonalità altissime sia a giungere a toni baritonali. Non manca uno spiffero di elettroacustica per dilatare alcuni momenti. “Le Monde” la ha chiamata “un ritratto magistrale delle melanconia” della società di oggi. Merita di essere vista ed ascoltata in Italia: l'allestimento è a basso costo, tratta temi sempre attuali e la sua musica parla ai giovani di oggi.

    Molto atteso il nuovo allestimento di “La Traviata”, che dopo una tournée in Francia, entrerà in repertorio alla Staatsoper di Vienna. Il palcoscenico è nudo, salvo alcuni elementi dipinti su siparietti. L'ambientazione e i costumi ricordano gli anni Quaranta e Cinquanta (filtrati attraverso i film di Truffaut e Chabrol, con qualche eco di Jean Vigo). L'azione, divisa in due parti, è un lento cammino verso una morte in età giovane all'insegna della passione di una coppia sulla via della maturità e anche del perdono. Una lettura drammatica e commovente che ha conquistato i numerosi giovani in sala, anche grazie a un sussidio pubblico che permette di riservare alcuni posti a prezzi bassissimi per gli “under 30” della regione di Aix. In buca, la London Symphony Orchestra (per quattro “in residenza” al Festival) diretta da Louis Langrée (una delle migliori bacchette del momento). Tra le voci, Natalie Dessay (nota principalmente come soprano di coloratura, ma reduce da due operazioni alle corde vocali), Charles Castronovo (giovane tenore americano, di recente protagonista del mozartiano “Ratto dal Serraglio” a Roma) e Ludovic Tézier (da decenni il principe dei baritoni francesi). Langrée legge “La Traviata” come una struggente preparazione a una morte in giovane età: dilata, quindi, i tempi e scava nei dettagli orchestrali, con l'accortezza di non coprire mai le voci. Divergenti i punti di vista sulla Dessay: grandissima interprete drammatica smussa quegli aspetti di “coloratura” e di agilità che più piacciono al pubblico – dimenticando che il “superacuto” al termine di Sempre Libera è frutto “di tradizione” di soprano virtuosisti non della partitura verdiana. Ottimo vocalmente il prestante Castronovo. Sempre un piacere ascoltare Tézier anche se non ha più il “legato” di un tempo. Deludente la parte drammaturgica, affidata al pluripremiato David McVickar, probabilmente dormiva su suoi allori. Abbiamo invece una regia ipertradizionale, in costumi napoleonici (invece che della Roma dei Cesari) in cui predominano il bianco e il nero (a eccezione del manto rosso fuoco dell'Imperatore). Lo spettacolo è in calendario a Tolosa e a Marsiglia. Merita di essere ripensato in quanto “La Clemenza” è forse l'opera mozartiana che più esprime i drammi del politico di fronte ai suoi doveri e ai suoi rapporti interpersonali.

    “Il Naso” di Šostakovic è co-prodotto con il Metropolitan di New York e l'Opera Nazionale di Lione. L'attenzione è puntata sull'impianto scenico e registico di William Kentridge (di cui di è vista questa stagione la produzione de “Il Flauto Magico”). L'opera è conosciuta in Italia specialmente tramite la produzione, ormai storica, minimalista e a bassissimo costo del Teatro da Camera di Mosca. Tratta dalla novella di Gogol, il lavoro è una satira al vetriolo delle burocrazie; per questo fu vietata per decenni in Russia. Il gioco scoppiettante di gag futuriste e dadaiste contro l'arroganza del potere burocratico non sarebbe tale senza la magistrale bacchetta di Kazushi Onu alla guida dell'orchestra dell'Opera di Lione e una dozzina di affiatati solisti russi, maestri di questo tipo di teatro in musica.

    Tiriamo le somme: a) le coproduzioni, a cui molte fondazioni liriche italiane sembrano resistere, sono essenziali perché “la musa bizzarra e altera” (l'opera lirica) sopravviva; b) per attirare nuovo pubblico (dato che gran parte degli spettatori hanno età prossime al viaggio più lungo), il teatro di regia deve puntare sulle idee (vedi “Thanks to my eyes” e “Traviata”) più che sugli allestimenti ad alto costo (“Il Naso” di Kentridge verrà ammortizzato unicamente se il Met lo terrà in repertorio per dieci anni e lo fitterà a altri teatri); c) sono essenziali programmi di biglietti a basso costo per i giovani per invogliarli ad andare a teatro (a Aix i primi posti costano 200 euro, ma quelli per i giovani del luogo arrivano a 15 euro).