Beppino Englaro e Mina Welby davanti alla Camera dei Deputati (LaPresse)

Voglio morire, per legge

Redazione

Il padre di Eluana ci aveva garantito che la sua era una battaglia civile solitaria, per dare voce a sua figlia e ottenere una sentenza o un provvedimento di volontaria giurisdizione ad personam. Non era così

È molto deludente il comportamento di Beppino Englaro. Il padre di Eluana ci aveva garantito che la sua era una battaglia civile solitaria, per dare voce a sua figlia e ottenere una sentenza o un provvedimento di volontaria giurisdizione ad personam. Non era così. Ha annunciato in una focosa intervista a Paolo Flores d’Arcais, il direttore e agitatore di MicroMega, che farà un comizio telefonico in piazza Farnese, dove sabato 21 è convocata una manifestazione contro la legge sul testamento biologico o dichiarazioni di fine-vita all’insegna della parola d’ordine “sì alla vita, no alla tortura di stato”. Peccato. Questo giornale ha sempre respinto la logica dei sospetti politico-culturali contro il padre della ragazza spenta in una clinica di Udine nemmeno due settimane fa, preferendo battersi contro le idee del suo entourage di collaboratori e portavoce, ma un simile comportamento tradisce la nostra buona fede e quella di tanti che sono stati condizionati, anche emozionalmente,  dalla ambigua mescolanza di amore paterno e convinzione ideologica.

 

Il problema è che la piattaforma politica e culturale di Englaro e dei suoi è eticamente controversa, e a nostro giudizio nullista e disperata, ma nel momento in cui la battaglia si trasferisce sul piano del diritto positivo, con l’elaborazione di una norma bioetica in cui viene assegnata al cittadino la facoltà di decidere sulla propria vita, gli argomenti più forti sono i loro. A meno che qualcuno riesca a spiegarci la logica della proposta di legge Calabrò, varata a nome della maggioranza parlamentare. Tutto si può fare, ma non è possibile riconoscere ai cittadini la facoltà o il potere costituzionalmente garantiti di decidere il rifiuto di trattamenti come l’idratazione e la nutrizione, se vigili, e togliergliela subito dopo in una fase della vita in cui la coscienza vigile non c’è più, e fare questo addirittura in una norma (sottolineato: in una norma di diritto positivo) che dovrebbe consacrare la loro libera decisione. Ci si può battere per Eluana e per gli altri di ieri di oggi e di domani in nome del primato della carità sul diritto, come abbiamo fatto senza tentennamenti, ma non è possibile farlo in nome di una norma etica di stato.

 

Con la comprensibile ma ambigua decisione di sanare le contraddizioni della “zona grigia” attraverso una legge di testamento biologico, ci si è messi in un vicolo cieco, accettando il terreno scelto dai cultori del nichilismo: la libertà della coscienza, la libertà per il nulla. Se una persona liberamente decide di disporre della propria vita, e una legge dello stato deve definire in merito le sue facoltà o il suo potere, la regola liberale dice che la norma potrà regolamentare marginalmente la sua volontà, ma non contraddirla. E idratazione e alimentazione, se imposte per legge contro il significato di una volontà testamentaria di fine vita, sono una contraddizione intenibile.

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